Naturkunde, 1990.

 

Naturkundemuseum

Am ersten Tag,
habe ich dir ein trockenes Blatt gesandt.
An einen Ast hast du es gebunden.

Am zweiten Tag,
habe ich dir eine verrostete Schraube gegeben.
Mit Schmirgelpapier hast du sie geglättet.

Am dritten Tag,
habe ich dir eine Taubenfeder gepflückt.
Mit einem Stein hast du sie festgehalten.

Am vierten Tag,
habe ich dir zwei Steine ins Haus gelegt.
Mit einer Schnur hast du sie aufgehängt.

Am fünften Tag,
habe ich eine Flaschenscherbe zurückgetragen.
In Packpapier hast du sie versteckt.

Am sechsten Tag,
habe ich ein Messer auf den Tisch gelegt.
In der Fischwanne hast du es ertränkt.

Am siebenten Tag,
habe ich dir nichts hinterlassen.
Um mir von Liebe zu sprechen bist du gekommen.

 

 Naturkunde

Die primo tibi
deciduum misi folium
Quod statim ramo ligasti

Die secundo tibi
clavum tortum dedi
ac robigine corrosum
Quem pumice limasti

Tertio die
pennam legi palumbinam
Quam lapidi subjecisti

Die quarto tibi
duos domi collocavi calculos
Quos funiculo pendisti

Quinto die
vitreum rettuli fragmen
Quod in chartam condidisti

Sexto die tibi
in mensam cultrum posui
Quem in piscinam mersisti

Septimo die
nihil reliqui
Ipsa ad amorem venisti declarandum

 

Botanischer Garten

Die abgebrochene Blume legte ich
in ein Fleischereipapier
Warte, daß sie welk wird

Das abgerissene Blatt legte ich
zwischen die Seiten des Buches
Warte, daß sie sich zusammenrollt

Den gebrochenen Ast hängte ich
an eine Schnur
Warte, daß er blüht

Das Eisen legte ich
in die Nähe der Blume
Sie wieder rot zu machen

Das Kupfer legte ich
über das Blatt
Es wieder grün zu sehen

Das Silber band ich
an den Ast
Ihn schwarz zu machen

 

Botanischer

Sectum posui florem
in chartam macellariam
exspecto dum defloreat

Fractam posui frondem
libri inter paginas
dum in semet convolvat

Ruptum liqui ramum
de fune pendentem
exspecto dum floreat

Quem ad florem
ferrum posui
qui rubescat

aesque posui
super frondem
quae virescat

argentumque
ramo vinctum
quo nigrescat

 

Steinplatz

Für jeden Schmerz
Warf ich einen Stein in den See .
Und der See füllte sich.

Für jede Träne
ließ ich einen Stein auf der Säule.
Und auf der Säule entstand ein Berg.

Für jeden Gewissenbiss
Legte ich einen Stein in den Garten.
Und mein Garten wurde ein Steinbruch.

Für jedes Verlangen
Sammelte ich einen Stein von der Strasse auf.
Und die Strasse ist so steinig.

 

Steinplatz

Pro quoque dolore
lapidem in lacum jeci
lacusque completus est

Pro quoque desiderio
lapidem in stela liqui
monsque stela facta est

Pro quaque paenitentia
lapidem in hortum posui
hortusque lapidescit

Pro quaque cupidine
lapidem de via legi
quae lapidosa manet

(1990)

Ins Lateinische übersetzt von Daniel Loayza

 

 

Affreschi rinvenuti: un rendiconto, 2023.

Affreschi rinvenuti
Una mostra nella Sala Catasti dell’Archivio di Stato di Napoli
in dialogo con le pitture di Belisario Corenzio
28 aprile – 27 maggio 2023

Una stratificazione del lavoro riscoperto di Belisario Corenzio e del mio proprio lavoro. La pittura di inizio Seicento, il suo stato attuale, quadri miei e fotografie di dieci e trent’anni fa, la loro sovrapposizione alle riproduzioni degli affreschi, la visione nuova (una fra le tante possibili) del mio lavoro e anche di quello del pittore greco-partenopeo.
Una serie Corenzio-Robinson: fotografie del restauro in corso stampate su vetro e sovrapposte a mie foto di spiagge incontaminate o quasi. Una serie Corenzio-Gulliver: dettagli degli affreschi prima del restauro, giustapposti a quadri miei antichi di trent’anni, ritagliati e rilavorati. Una serie Corenzio-Hölderlin: la famosa lettera del poeta tedesco, alla soglia della pazzia, al suo amico Böhlendorf, riprodotta su vetro: qui la sua distorta visione dell’antichità si sovrappone alla scialbatura gialla che copriva le pitture di Belisario.
Altre piccole serie dalle fonti più miste: le riproduzioni dei pagamenti al Corenzio o degli articoli critici ottocenteschi, sovrapposti a mie foto di soggetto “rupestre”: abbazie abbandonate e riprese dalla natura, romitori medievali, necropoli etrusche; le incisioni dal bestiario di Ulisse Aldrovandi, il naturalista bolognese coevo del nostro; i Drum Songs, le sfide poetiche di Ammassalik in Groenlandia orientale.
Salvatore Puglia

Il lavoro di Salvatore è stratificazione di scritte, foto, stampe, interventi grafici, sovrapposizione di linguaggi, di tecniche, di epoche, di letterature. Per me la sua opera è l’equivalente artistico delle Macchie di Rorschach: un test proiettivo basato su stimoli visivi intenzionalmente ambigui, volutamente incompleti o, al contrario, ridondanti.
In questa fusione di segni chi osserva può fermarsi all’apparenza o lasciarsi guidare da racconti fantastici popolati da creature mitiche e illustrati da lingue sconosciute, può leggere e trovare storie sempre diverse, a seconda dell’umore di chi guarda, della luce che colpisce l’opera, del contesto in cui l’opera stessa è esposta. Sono opere dialoganti, parlano alle emozioni, al cuore e alla testa di ciascuno in modo diverso.
In questo trovo l’arte di Salvatore: nell’aprire con la sua opera alla possibilità di una storia, di un racconto, immaginifico o semplicissimo, che, per dirlo con le parole di una poetessa dell’oggi, “dell’arte quindi ha il rischio, l’improvvisazione, lo studio e la dimenticanza dello studio, la dedizione, la leggera e misurata follia, la precarietà, la vocazione, l’invasione nella vita quotidiana, la spellatura”.
Maria Teresa Volpe

Quale funzionario della Soprintendenza sono stato coinvolto, per molti anni, nel progetto di restauro, rifunzionalizzazione e fruizione dell’ex convento dei SS. Severino e Sossio, quale co-responsabile scientifico prima, progettista e direttore dei lavori poi. Il lasso di tempo che me ne sono occupato è paragonabile a quello di Ercole Lauria, solo per la durata temporale naturalmente, non certo per le capacità di trasformazione che l’ingegner Lauria seppe operare nel convento benedettino per trasformarlo nella sede di uno degli archivi più importanti d’Italia, perché nel complesso dei SS. Severino e Sossio si custodiscono i documenti di un Regno non solo di una città.
Molte sono le trasformazioni che Lauria ha operato, anche in quella che era la Sala del Capitolo che diventerà una delle sale dove si custodiscono i preziosi documenti, in particolare la Sala dei Catasti Onciari.
Purtroppo, la realizzazione delle librerie ha irrimediabilmente ma inconsapevolmente, perché gli affreschi erano stati in precedenza
scialbati, gli affreschi parietali che Belisario Corenzio aveva realizzato in questo ambiente fulcro nevralgico della vita del complesso monastico.
Certamente uno dei momenti più emozionanti della mia attività nel complesso è stato quello del rinvenimento degli affreschi di Belisario Corenzio, in quella che era stata la Sala del Capitolo. Il disvelamento dei volti, delle figure che quotidianamente avveniva sotto le mani sapienti delle restauratrici, che lentamente asportavano le pesanti mani di grigio e di giallo, è stata per mesi una gioia pressoché quotidiana, fino ad arrivare al risultato finale, con tante lacune certo, ma rivedere dei quadri rimasti nascosti per due secoli e dei quali non si aveva nemmeno notizia, è stato impagabile.
Per una singolare coincidenza, nella primavera del 2021, ero con Salvatore Puglia, che avevo accompagnato a recuperare delle opere a palazzo Spinelli, quando il direttore dei lavori in corso alla sede dell’Archivio di Stato, mi ha telefonato per invitarmi ad andare in cantiere, pur essendo oramai in pensione, perché voleva mostrarmi qualcosa che era emerso nel corso dei lavori. Ho quindi proposto a Salvatore di venire con me e, in quella occasione, anche per lui si sono svelati gli affreschi di Bellisario Corenzio stuzzicando e stimolando la sua creatività.
Ebbene, le opere di Salvatore Puglia, che permettono di intravedere, di scorgere, “nascosta” da scritte o da esili tessiture, l’opera di Corenzio, è come se consentissero agli osservatori di condividere quella che è stata la mia, la nostra emozione.
Claudio Procaccini

 

Bestiaire 2023, 20×20.

Une nouvelle série de dessins inspirés par la céramique vernaculaire d’Italie du Sud et l’ouvrage de Jurgis Baltrusaitis Le Moyen Âge fantastique. Je les exécuterai sur biscuit à la fin novembre à l’usine Scotto de Vietri sul Mare.

Les dessins présentés ici sont des déformations de ceux pour carreaux longs (10×20 cm).

Format des carreaux : 20×20 cm, épaisseur 1 cm. Couleur :  rouge bordeaux.
Prix 30 € pièce, frais de port inclus.

Les motifs, numérotés, ne peuvent pas être commandés deux fois. Je les remplacerai dans cette page suivant l’évolution des commandes. Aussi, une fois sur place et repris au pinceau, ils vont changer quelque peu.

Commande possible sur mon site, à la page Bio/Contact, ou ailleurs, quelque part.

Voir aussi la page récapitulative Ceramic writings 2003-2023, et, au fond de cette page, des exemples.
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A new series of drawings inspired by the vernacular ceramics of Southern Italy as well as by Jurgis Baltrusaitis The Fantastic in the Middle Ages.

Format of the ceramic tiles: 20 x 20 cm. Thickness 1 cm. Color: Burgundy red.

Price: 30 € per tile, including shipping within Europe.

Orders can be made via my website, at the page Bio/Contact.

 

 

 

Polytechnio (Anni Settanta, trittico quattro).

Polytechnio, 2023 (Anni Settanta trittico quattro).
Three pieces 26×42 cm lead framed. Print on paper, digital print on glass.

The main inspiration for this little project is the film secretly made by  Nicolas Vernicos in November 16 and 17 1973, in front of the National Technical University of Athens:

Aylon Film Archives

The following text was taken from the Aylon Film Archives website:

The Athens Polytechnic uprising occurred in November 1973 as a massive student demonstration of popular rejection of the Greek military junta of 1967–1974, which had imposed a dictatorship in Greece on April 21, 1967.
The uprising began on November 14 with the occupation by students of The National (Metsovian) Technical University of Athens, which escalated into an anti-dictatorship protest, as thousands of citizens gathered there. The occupation ended in the early hours of November 17 when a tank invaded the university’s main entrance followed by the police and the army. The uprising triggered a series of events that caused the injury and the death of many civilians and led many others to imprisonment and torture. The filmmaker Nicolas A. Vernicos is in a room of the “Acropol” hotel, across the university. He records the events secretly.

I superimposed threes still from Nicolas Vernicos movie with three plates from Francesco Colonna Hypnerotomachia Poliphili (The Dream of Poliphilus, Aldo Manuzio, Venezia 1499), colored in red. No relation between them, apart from the confrontation of two – or three, with Ritsos poem – possible ‘’greeknesses’’ (Please refer to my website article: From Cythera series C).

The reproduced plates: Tryumph of Semele, Poliphilus encounters the Woolf, Dream of Poliphilus.

Yannis Ritsos poem ‘’Transparency’’, which appears in the second piece, is translated into Italian by Nicola Crocetti and into French by Nassia Linardou.

 

Polytechnio 01 (Tryumph of Semele), 26×42, 2023.
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Polytechnio 02 (Poliphilus encounters the Woolf), 26×42, 2023.
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Polytechnio 03 (Dream of Poliphilus), 26×42, 2023.
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La Taranta remix, 2023.

Grand auditorium – Carré d’art, Nîmes.
Vendredi 10 novembre 2023  à
18h30 

Rencontre Poésie/Cinéma 

Projection et lecture suivies d’une rencontre avec Salvatore Puglia et Suzanne Doppelt

 

(La Taranta, Gianfranco Mingozzi, 1962, 18,12 min.)

A l’époque des moissons, les paysans des Pouilles qui travaillent pieds nus sont parfois piqués par la tarentule. Dans la croyance populaire, ces victimes sont possédées par la maladie, par le Mal, par le Diable. Pour se libérer, les tarantati s’abandonnent à des mouvements convulsifs, évoquant ceux de l’araignée, sur une musique obsédante au rythme de plus en plus rapide. En été 1961, Gianfranco Mingozzi en fait un film à partir de La Terre du remords, une étude ethnographique pluridisciplinaire, avec la participation de l’ethnomusicologue Diego Carpitella, dont les enregistrements figurent dans le montage de La Taranta. Pour le commentaire, Mingozzi s’adressa au poète Salvatore Quasimodo, Prix Nobel de littérature en 1959.

« Si je me suis intéressé au sujet de la Taranta – qui en Italie est loin d’être seulement un sujet d’études ethno-démo-musicologiques mais est devenu un phénomène de culture populaire, en même temps savante et de masse – c’est que j’aurais pu moi-même être l’un de ces garçons qui guettent la tarantolata par la fenêtre de sa masure. » SP

Projection/performance de Salvatore Puglia. Il dira en direct le texte de Salvatore Quasimodo qu’il a traduit en français.  

Le lien au travail Galatina remix et aux sources documentaires de la performance.

 

Rencontre avec les artistes suivie de la signature des ouvrages de Suzanne Doppelt et de la présentation des œuvres de Salvatore Puglia.

En écho… 

Galatina remix, travail plastique conçu par Salvatore Puglia à partir du film de Gianfranco Mingozzi

Exposition sur le plateau Adulte (entresol) mur Etudes côté Arts, du 7 novembre au 9 décembre 2023 

« Il y aura douze tableaux de 30×40 utilisant des arrêts sur images d’intérêt plus autobiographique. Chacun portera une ou deux lettres de la phrase Et in Arcadia Ego, écrites sur une carte topographique d’Italie du Sud. Chaque tableau sera décoré de pièces de puzzle vierges, peintes en rouge fluo (acrylique La Pajarita Fluor F-3, qui remplace efficacement mon Lumen rosso 26) et appliquées selon la suite de Fibonacci, de 0 pour le premier à 89 pour le douzième (comme on le sait, la progression de Fibonacci née pour calculer le taux de reproduction des lapins, considère chaque numéro comme l’addition des deux qui le précèdent). » SP

 

 

Cravos (Anni Settanta, trittico tre).

Cravos, 2023, trittico, 24×42 l’unità, stampa numerica su carta, impression UVgel su PVC.

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Cravos 01
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Cravos 02
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Cravos 03
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Per questo terzo trittico ”storiografico” ho usato come fondo fermi immagine di una trasmissione pedagogica della radio-televisione portoghese (https://ensina.rtp.pt/artigo/a-fotografia-na-revolucao-de-abril/), del 2018, nella quale lo speaker si piazza all’interno dell’immagine, come fosse presente all’avvenimento. Questa sua tecnica si apparenta alla mia, di intrusione (o sovrapposizione) di immagini apparentemente incongrue, come i miei à-plat di colore degli anni Settanta.
I miei pastelli qui riprodotti datano probabilmente del 1978, data in cui mi recai a Lisbona per la prima volta e disegnavo, giorno dopo giorno, le linee del ponte di Setubal (oggi Ponte 25 de Abril), da ogni angolo e sotto ogni luce, anche qui seguendo la mia ispirazione ‘’liciniana’’.

Sulle fonti fotografiche utilizzate, vedi anche:
Fotos 25 de Abril 1974 e 1º de Maio Video 4K

 


(Foto: Ordem dos engenheiros)

 

 

For this third “historiographical” triptych, I used as background stills from a Portuguese radio-television pedagogical broadcast (https://ensina.rtp.pt/artigo/a-fotografia-na-revolucao-de-abril/), from 2018, in which the speaker places himself inside the image, as if he were present at the event. This technique of his relates to mine, of intrusion (or superimposition) of seemingly incongruous images, such as my 1970s color à-plats.
My pastels reproduced here probably date from 1978, the date when I went to Lisbon for the first time and drew, day after day, the lines of the Setubal Bridge (today the Ponte 25 de Abril), from every angle and under every light, again following my ”Licini/Klee” inspiration.

 

La Buoncostume remix (Anni Settanta, trittico due).

Anni Settanta, trittico due.
42×20 cm il pezzo, cornice in piombo, 2023
(riporto alla trielina su vetro, stampa UVgel su PVC, stampa digitale su carta).

Tre delle foto d’identificazione della Buoncostume romana dei primi anni Settanta, recuperate da un catalogo sfuggito al sequestro del materiale espositivo della galleria Il Museo del Louvre (mostra prevista per il gennaio-marzo 2008, sequestrata prima dell’apertura).

Ho conservato, rispetto al lavoro da cui provengono (La Buoncostume suite, 2009) i vetri su cui avevo trasferito alla trielina pagine del libro di grammatica in uso nelle Scuole per i contadini dell’Agro Romano (primo Novecento), che furono il soggetto della mia tesi di laurea nel 1978. Il soggetto del mio dattiloscritto, di cui ho perso traccia, era il movimento ‘’verso il popolo’’ di pittori e intellettuali romani di ispirazione tolstoiana e socialista, che andavano a diffondere l’istruzione presso i contadini nomadi della campagna romana.

Ho aggiunto un elemento nuovo: la riproduzione di certi miei disegni al pastello a cera, il cui modo ‘’à-plat’’ era ispirato a certi quadri astratti di Licini, il pittore che più ammiravo in quegli anni. Osvaldo Licini (1894-1958), artista ‘’marchigiano-parigino’’, operò a cavallo di vari movimenti artistici fra le due guerre, prima di definire un proprio stile singolare, una pittura poetica che ne fa a mio avviso il Paul Klee italiano (forse insieme con Fausto Melotti). Soprattutto mi affascinavano i suoi personaggi, gli olandesi volanti, le Amalassunte, gli Angeli ribelli che, appunto, mi richiamavano il benjaminiano Angelus Novus di Klee (1920).

I colori che usavo per le mie prime pitture erano poi simili a quelli dei grossi maglioni a strisce che indossavo, ordinati a un’amica non ancora femminista.

La Buoncostume remix 01-03, 42×20 apiece, 2023.
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La Buoncostume suite 01-06, 42×20 apiece, 2009.
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Forme, tryptic, 18×12 cm apiece, 1979
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Via del Paradiso, Roma, 1980. Tre opere: un montaggio di fotografie dipinte (tre amici a Londra), cocci di bottiglia infissi nel cemento e sormontatati da un telo dipinto d’azzurro, un ”mobile” uccello alla Braque. Sulla sedia un proiettore di diapositive, con il quale  proiettai dalla finestra i miei primi acquerelli sul muro laterale della chiesa di S. Andrea della Valle.
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Three identification photos of Roman Vice Squad from the early 1970s, retrieved from a catalog that escaped the seizure of exhibition material from the gallery The Louvre Museum (exhibition planned for January-March 2008, seized before opening).

I kept, with respect to the work from which they came (The Vice suite, 2009) the glass on which I had transferred to trichloroethylene pages from the grammar book in use in the Schools for the peasants of the Agro Romano (early twentieth century), which were the subject of my dissertation in 1978. The subject of my typescript, of which I have lost track, was the ”to the people” movement of Tolstoyan and socialist-inspired Roman painters and intellectuals who went to spread education among the nomadic peasants of the Roman countryside.

I added a new element: the reproduction of certain of my drawings in wax pastel, whose ”à-plat” manner was inspired by certain abstract paintings by Licini, the painter I most admired in those years. Osvaldo Licini (1894-1958), a ”Marche-parisian” artist, worked at the crossroads of various artistic movements between the two wars, before defining his own singular style, a poetic painting that makes him in my opinion the Italian Paul Klee (perhaps together with Fausto Melotti). Above all, I was fascinated by his characters, the Flying Dutchmen, the Amalassunte, the Rebel Angels, which, precisely, reminded me of Klee’s Benjaminian Angelus Novus (1920).

Translated with www.DeepL.com/Translator (free version)

Le monument enfoui (2023)


(Un mémorial pour Bernard Lazare)

Érigée par souscription publique et inaugurée à la présence du vice-président du Sénat Frédéric Desmons en octobre 1908, mutilée après la première Guerre mondiale, défigurée par un ‘’Mort aux juifs’’ à la peinture noire dans les années 40, entreposée dans un square municipal et finalement utilisée comme matériel de remblai pour le monument à la Résistance érigé en 1946 sur un lieu d’exécution nazie, la statue de Bernard Lazare à Nîmes, qui figurait en bonne place à l’entrée des jardins de la Fontaine, à proximité des monuments à Antoine Bigot, écrivain occitan, protestant et républicain et à Jean Reboul, boulanger-poète catholique et royaliste, n’a toujours pas retrouvé sa place, que ça soit une réplique à l’identique, comme geste de rétablissement symbolique face aux assauts de la droite extrême, ou un nouveau signe, qui voit dans l’œuvre de mémoire une transformation créative de l’héritage historique.
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Le monument aux Martyrs de la Résistance, boulevard Jean Jaurès à Nîmes (Photo Stéphane Mahot, 2016).
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PS : Ce qui suit est un compte-rendu de ma visite aux archives municipales de Nîmes, 28/03/2023, sur sollicitation du Collectif Mémoire et histoire (Dossiers 4H57 sur l’édification du monument aux martyrs de la Résistance, 92W22 et 2070 W 113 sur le rétablissement du monument à Bernard Lazare).

La question du rétablissement d’un monument à Bernard Lazare s’est posée à plusieurs reprises, après la destruction de la stèle inaugurée en 1908 aux Jardins de la fontaine, notamment en 1984-1986 et 2000-2001.

En 1984, un échange entre le maire de Nîmes, Jean Bousquet et le ministre de la culture, Jack Lang, aboutit en 1986 à un financement de la part de l’État pour 150.000 francs (la moitié de la somme envisagée) apparemment jamais utilisés. Aujourd’hui 300.000 francs correspondraient à 86.000 euros. La somme, considérée dérisoire par tous les acteurs à l’époque, fut finalement retenue aussi par les artistes qui répondirent à l’appel de la Mairie.

Plusieurs artistes ayant été envisagés, finalement c’est le projet de Christian Boltanski, personnellement présenté par Bob Calle (directeur du Carré d’art) qui fut le plus proche d’être adopté. N’ayant finalement pas eu de réponse de la part de l’administration nîmoise, Boltanski se retira du projet, trois ans après l’avoir présenté. Surement son projet était encore précoce et trop difficile à réaliser.

En 1990-1992 la discussion se rouvre, le maire n’ayant pas approuvé le projet de Dani Karavan (dont, contrairement à celui de Boltanski, je n’ai pas retrouvé de traces aux archives). Finalement Bob Calle se dessaisit de l’affaire et Christian Liger, adjoint au maire délégué à la culture, semble faire de même.

En 2000-2001 une requête de Carole Sandrel (Les amis de Bernard Lazare), en préparation du centenaire de la mort de l’écrivain, semble remuer un peu les choses, mais apparemment sans suite.

Le projet de Boltanski, prévoyait, au lieu qu’une réalisation monumentale, une installation de pierres, accompagnées de petites plaques, sur une falaise surplombant un bassin, à la hauteur de “l’avant dernière terrasse du jardin de la Fontaine”.  Ces pierres auraient dû venir de chaque lieu d’où une différente communauté serait venue à Nîmes, pour un minimum de douze et jusqu’à trente, comme un mémorial qui se construirait au fur et à mesure.

Ce que Boltanski ne savait surement, puisque cela l’aurait intrigué, est que la statue existait toujours : démontée pendant la seconde guerre mondiale et après un séjour dans le jardin du musée du vieux Nîmes, elle avait fini par être intégrée comme matière première du monument aux martyrs de la Résistance, édifié à partir de 1946 sur l’avenue Jean Jaurès.

La stèle elle-même était bien endommagée et défigurée, comme le montre une image tirée d’un article de Georges Mathon publié en 2003 sur son site www.nemausensis.com (bien évidents le visage de Lazare barbouillé et le « tag » mort aux juifs).

Avril 2023
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(D’après le site www.nemausensis.com)

À la suite, un choix de documents issus des archives municipales de Nîmes (92W22 et 2070 W 113) :

 

 

(Le Collectif Histoire et Mémoire s’est engagé dans la perspective de rétablir le monument à Bernard Lazare sur l’emplacement et dans les formes d’origine, impliquant les différents acteurs administratifs et associatifs, à l’occasion de l’anniversaire de sa naissance, en 2025).

Wallflowers remix (Anni Settanta, trittico uno).

Anni Settanta, triptych one.
32×32 cm apiece, lead frame, 2023.
(trichloroethylene transfer on glass, Fun and Fancy colors on glass, Istituto Geografico Militare map, pencils).

All’alba dei miei settant’anni, inizio un lavoro sugli anni Settanta, il decennio dei miei vent’anni. Penso che si svilupperà per trittici e spero di completarne tre o quattro.
Il primo trittico è una ripresa di un lavoro del 2010 che era a sua volta una ripresa della tematica dell’identificazione: Wallflowers remix.
Ho raschiato via la carta da parati che faceva da fondo, in allegoria del fondo quadrettato in uso nei commissariati di polizia, a certi ritratti della Buoncostume romana, abbandonati nella spazzatura di fronte alla Questura a fine 2007, ritrovati da un libraio-gallerista romano ed esposti neanche una giornata, prima che i Carabinieri mandati dalla Sovrintendenza non li sequestrassero insieme con tutto il materiale espositivo, cataloghi compresi.
Ho sostituito la carta da parati con carte militari dell’IGM ritagliate nel formato del quadro, 32×32 cm. Questi ritagli cartografano siti in cui, in pochi chilometri quadrati, sono accaduti avvenimenti marcanti del decennio 1970: il delitto di Castelporziano (10 agosto 1975), l’assassinio di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), il festival di poesia sulla spiaggia di Capocotta (28-30 giugno 1979), in cui vidi Allen Ginsberg, inascoltato da tutti i giovani proletari intenti a bombardare il palco con lattine di birra ripiene di sabbia, intonare all’organetto il suo Kaddish Father Death Blues.
Sulle carte ho apposto timbri inchiostrati di rosso, da me scavati nelle pietre saponarie riportate dalla Cina, oppure ordinati ad artigiani ambulanti di Canton in un soggiorno del 1990: segni senza senso, oppure scritture brevi, Wallflowers, Ashbox, Nequid nimis, o la mia firma trascritta in caratteri cinesi.
Ho anche copiato a mano frasi che mi girano nella testa ossessive da almeno un trentennio: non dicere ille secrita abboce (catacombe di Domitilla, VIIIe secolo), alexamenos sebetai theos (graffito sul Palatino a didascalia del disegno di un cristiano in atto di preghiera, la testa d’asino e le braccia aperte), perimeno, ananke, όχι Ιθάκη, όχι όλες οι περιπέτεa (no, Itaca no, non un’altra avventura, dalla  poesia ”Trasparenza” di Yannis Ritsos nel Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Milano, Feltrinelli, 1978 che tanto leggevo).
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Anni Settanta 01, Idroscalo, 32×32, 2023.
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Anni Settanta 02, Castelporziano, 32×32, 2023.
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Anni Settanta 03, Capocotta, 32×32, 2023.
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At the dawn of my seventies, I am beginning a work on the 1970s, the decade of my twenties. I think it will develop in triptychs and I hope to complete three or four of them.
The first triptych is a reprise of a 2010 work that was itself a reprise of the theme of identification: Wallflowers remix.
I scraped off the wallpaper that served as the background, in allegory of the checkered background in use in police stations, to certain portraits of Roman Vice squad, abandoned in the trash in front of the Questura in late 2007, found by a Roman bookseller-gallerist and exhibited not even a day, before the Carabinieri sent by the Superintendence did not seize them together with all the exhibition material, including catalogs.
I replaced the wallpaper with IGM military maps cut out in the picture format, 32×32 cm. These cutouts map sites where, in a few square kilometers, marking events of the 1970s happened: the Castelporziano crime (August 10, 1975), the murder of Pier Paolo Pasolini (November 2, 1975), the Capocotta beach poetry festival (June 28-30, 1979), in which I saw Allen Ginsberg, unheard by all the young proletarians intent on bombarding the stage with sand-filled beer cans, singing his Kaddish Father Death Blues on the harmonium.
On the papers I stuck red-inked stamps, either carved by me from soapstone brought back from China, or ordered from itinerant artisans in Canton during a 1990 stopover: nonsense signs, or short writings, Wallflowers, Ashbox, Nequid nimis, or my signature transcribed in Chinese characters.
I have also copied by hand phrases that have been running around in my head obsessively for at least thirty years: non dicere ille secrita abboce (Domitilla catacombs, 8th century), alexamenos sebetai theos (graffito on the Palatine captioning a drawing of a Christian in the act of prayer, donkey’s head and arms outstretched), perimeno, ananke, όχι στην Ιθάκη, όχι σε αυτές τις περιπέτειες (no to Ithaca, no to all these vicissitudes, from a poem by Yannis Ritsos in Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Milano, Feltrinelli, 1978 that I used to read so much).
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Wallflowers remix 02, 32×32, 2010.
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Wallflowers remix 04, 32×32, 2010.
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Wallflowers remix 06, 32×32, 2010.
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À l’aube de mes soixante-dix ans, je commence un travail sur les années soixante-dix, la décennie de mes vingt ans. Je pense qu’il se développera en triptyques et j’espère en réaliser trois ou quatre.
Le premier triptyque est une reprise d’une œuvre de 2010 qui était elle-même une reprise du thème de l’identification : Wallflowers remix.
J’ai gratté le papier peint qui servait de fond (en allégorie du fond à carreaux utilisé dans les commissariats pour les portraits de la Brigade de Mœurs), portraits abandonnés dans les ordures devant la Questura fin 2007, retrouvés par un libraire-galeriste romain et exposés pendant à peine une journée, avant que les carabiniers envoyés par la Surintendance ne les saisissent avec tout le matériel de l’exposition, y compris les catalogues.
J’ai remplacé le papier peint par des cartes militaires IGM découpées au format de mon image, 32×32 cm. Ces découpages représentent les lieux où, sur quelques kilomètres carrés, se sont déroulés des événements marquants des années 1970 : le crime de Castelporziano (10 août 1975), l’assassinat de Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), le festival de poésie de la plage de Capocotta (28-30 juin 1979), où j’ai vu Allen Ginsberg, ignoré de tous les jeunes prolétaires qui bombardaient la scène de canettes de bière remplies de sable, chanter son Kaddish Father Death Blues à l’accordéon.
Sur les cartes, j’ai apposé des tampons à l’encre rouge, soit sculptés par mes soins dans des pierres à savon ramenées de Chine, soit commandés à des artisans itinérants de Canton lors d’un séjour en 1990 : des signes sans signification, ou de courts écrits, Wallflowers, Ashbox, Nequid nimis, ou ma signature transcrite en caractères chinois.
J’ai également recopié à la main des phrases qui tournent dans ma tête de manière obsessionnelle depuis au moins trente ans : non dicere ille secrita abboce (catacombes de Domitilla, VIIIe siècle), alexamenos sebetai theos (graffito sur le Palatin légendant un dessin d’un chrétien en train de prier, tête d’âne et bras tendus), perimeno, ananke, όχι στην Ιθάκη, όχι σε αυτές τις περιπέτειες (non à Ithaque, non à toutes ces vicissitudes, d’après un poème de Yannis Ritsos dans Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Milano, Feltrinelli, 1978 que je lisais beaucoup).

(Traduction automatique de l’italien : https://www.deepl.com/translator#it/fr/)

 

 

 

 

Laralia (Dale i Sunnfjord 1999)

This work is entitled Laralia. The dictionary tells us that, in ancient Roman times, the Lares were the ancestors’ spirits, whose images, made out of painted wood or cast wax, were collected and worshipped in a specially designated part of the mansion called the Laralia.
These pictures were periodically displayed in processions, and then set on fire. Pliny the Elder mentions them in the section of Naturalis Historia devoted to painting (Book, XXXV, 6-7): in his criticism of modern art then in vogue, he underlines the moral value of these portraits, which served not only to commemorate the deceased, but also to accompany the living, so that “when somebody died, the entire assembly of his departed relatives was also present”.
Ten pictures of local people, chosen at random among the ones conserved at the Fjaler Folkbibliotek, have undergone a multi-staged process of transformation: first, they are deformed in order to reveal their Anamorphosis, reminiscent of the long evening shadows; then, they are enlarged to life size; finally, their silhouettes are traced and cut out on boards of pine wood.

These black silhouettes were placed atop Dalsåsen Hill and then set on fire, in a brief ceremony.
On the other end, the three-meter high plates, from which the silhouettes had been carved out, were erected in the Øvstestølen Plateau, above Dale, in a spot visible from the Jøtelshaugen Peak. Painted in oxide red, these steles turn their backs to the west, so that, at the end of the day, around mid-August, the shadow of each top touches a stone, under which the original picture of the corresponding individual has been placed.
This work is mobile. During the day, in sunlight, the shadows on the ground change shape, cross each other and are, for a fleeting moment, similar to the original picture.
The instantaneous freezing of the photographic image documents a unique state of a person and is meant to be recognisable by the person’s relatives and the collective memory. In Laralia this image is subjected to multiple reproductions, which progressively distance the subject from its departure point.
The final stage of this process – the woodcut – is the opposite of the photographic image, in terms of the time and energy required for its execution; the slowness can be seen as a less tyrannical and intense way of recording the image.
The ten pictures, transformed into steles whose commemorative function is only vaguely related to the individuals they portray, will surrender to the action of time and nature, which will further modify them and ultimately lead to their decay.

This work is not intended to be a mere celebration of local history. Instead, it is an attempt to finding a sign or a “monogram”, of vanished individualities that could possibly remain after a progressive flattening of the recorded images. Perhaps this process mirrors the functioning of our memory, with its arbitrary choices, gaps and repetitions and constitutes an attempt to navigate between the opposing poles of amnesia and hypermnesia, forgetfulness and obsession.

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(A short movie by Knut Nikolai Bergstrom, 3’32”)

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Note: for a journal of this installation, see Diario Boreale, interrotto. And, also in Italian, a transcribed notebook: Taccuini scandinavi 1999-2000.

 

 

 

Galatina remix, 2022-2023.

Préface

Si je me suis intéressé au sujet de la Taranta – qui en Italie est loin d’être seulement un sujet d’études ethno-démo-musicologiques – mais est devenu un phénomène de culture populaire, en même temps savante et de masse – c’est que, vu mon âge et mes origines géographiques, j’aurais pu moi-même être l’un de ces garçons qui guettent la tarantolata par la fenêtre de sa masure.
J’ai entrepris la traduction en français du texte de Salvatore Quasimodo, Prix Nobel de littérature en 1959, auquel Gianfranco Mingozzi s’adressa, sans doute par le biais de son mentor, Cesare Zavattini.
Le texte, qui fait bien référence aux écrits de l’ethnologue Ernesto De Martino (Sud e Magia, Milano 1959 et probablement La terra del rimorso, Milano 1961), fut rédigé en moins de vingt jours, Mingozzi souhaitant présenter son film au très proche Festival dei popoli de Florence (janvier 1962, où effectivement il gagna le prix Marzocco d’oro).

Je vais reprendre cette série récente de neuf petits formats (Galatina 1961) en utilisant d’autres arrêts sur images, d’intérêt plus “autobiographique”. Il y aura douze 30×40, dont chacun portera une ou deux lettres de la phrase Et in Arcadia Ego, écrites sur une carte topographique d’Italie du Sud. Chaque tableau sera décoré de pièces de puzzle vierges, peintes en rouge fluo (acrylique La Pajarita Fluor F-3, qui remplace efficacement mon Lumen rosso 26) et appliquées selon la suite de Fibonacci, de 0 pour le premier à 89 pour le douzième (comme on le sait, la progression de Fibonacci née pour calculer le taux de reproduction des lapins, considère chaque numéro comme l’addition des deux qui le précèdent).
Au dernier tableau de la série, le puzzle, qui ne montre rien mais cache plutôt l’image au fur et à mesure qu’il avance, sera presque entièrement rempli.
J’avoue que j’ai choisi cette formule tout en pensant à Mario Merz (Crocodilus Fibonacci, 1972, entre autres) et à des formes en spirale dont je me suis servi pour des travaux récents (Going round and round).

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Le texte de Quasimodo (Gianfranco Mingozzi, La Taranta, Kurumuny, Lecce 2009).
Et ma tentative de traduction française : Quasimodo La terre du remords

 

Ici un court extrait (1:20) de La Taranta remix :

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Galatina remix, 2022.

01, 30×40.
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02, 30×40.
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03, 30×40.
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04, 30×40.
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05, 30×40.
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06, 30×40.
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07, 30×40.
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08, 30×40.
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09, 30×40.
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10, 30×40.
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11, 30×40.
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12, 30×40.
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Les bêtes de Batz

Les bêtes de Batz, 2023
Six travaux 24×42, tirage UVgel sur plexiglas, acrylique sur verre, cadre en plomb.

J’ai beaucoup séjourné à l’île de Batz et ce n’est qu’à ma cinquième ou sixième visite que j’ai eu l’idée d’y consacrer un travail. Je le voyais comme la suite d’une série, parachevée entre 2021 et 2023, où des gravures anciennes de monstres marins étaient superposées à mes photographies de littoraux européens.
Pour ce dernier travail, j’ai utilisé six extraits du livre Histoires extraordinaires de l’île de Batz, publié en 2016 par Guy Boucher. Le dernier chapitre du livre est un récit d’anticipation qui relie le mythe fondateur de l’île aux problématiques du réchauffement climatique et imagine le territoire de l’île peuplé de reptiles gigantesques, issus d’expérimentations scientifiques hasardeuses. Ces bêtes font écho à ‘’mes’’ monstres tirés de l’Historia Monstrorum d’Ulisse Aldrovandi, le grand naturaliste bolognais du XVIe siècle.
J’ai reproduit ces monstres à l’acrylique rouge fluo, afin de leur donner un caractère encore plus irréel, confronté à l’aspect documentaire de mes photographies. J’ai utilisé la technique de la peinture sous verre, en transparence.
J’ai imprimé les extraits de Guy Boucher à même ma photographie, en police Courier et en une couleur pâle, qui s’estompe parfois dans l’image et n’est lisible que par bribes.

Les bêtes de Batz 01 Equus marinus
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Les bêtes de Batz 02 Aper Marinus
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Les bêtes de Batz 03 Humana facie
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Les bêtes de Batz 04 Niliaca Parei
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Les bêtes de Batz 05 Sus marinus
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Les bêtes de Batz 06 Andura Piscis
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Rovine nella selva (2023)

Si tratta della terza versione (febbraio 2023) di un lavoro vecchio di quasi dieci anni, mai mostrato in Italia, se non parzialmente (Confronto su Castro, 2018).
Mi sento piuttosto convinto della prima parte (Ruins in the Forest, series A), in cui sovrapponevo il testo dantesco del Purgatorio a foto di siti archeologici nella Tuscia.
La seconda (Ruins in the Forest, series B) mancava forse di qualcosa. Non mi bastava la sovrapposizione di mappe escursionistiche alle mie immagini di rovine e reperti ormai integrati nello spazio naturale. Mi pareva che un nuovo elemento  di artificialità fosse necessario, e credo di averlo trovato nell’apposizione delle lettere di una singola frase, Et in Arcadia [ego]. La Selva del Lamone non è l’Arcadia, certo, e SP non è Poussin. Diciamo che questo Rovine nella selva è un esercizio di imitazione.
Ho anche cambiato la carta topografica che costituisce il fondo dell’immagine: al posto di una carta escursionistica della Tuscia ho messo carte dell’Istituto Geografico Militare degli anni Cinquanta, il cui soggetto non corrisponde con i luoghi da me fotografati.


Rovine nella selva 01, Vallerosa, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 02, Fratenuti, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 03, Sutri, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 04, Rofalco, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 05, Pian di Civita, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 06, Poggio Conte, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 07, Norchia, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 08, Grotta Porcina, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 09, Castro, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 10, Vulci, 2022, 30×40.
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Nella selva antica

Da qualche anno lavoro sul tema della natura soggetta alla civiltà (e viceversa). Nelle fotografie che faccio in giro per l’Europa c’è sempre un elemento naturale che   predomina sulla compresenza di manufatti ridotti a tracce e segni.

Ho ripreso in mano Dante, in particolare i versi della Commedia in cui parla della selva antica, che non è altro che una rappresentazione del paradiso terrestre. Ho trattato in modo allegorico questo soggetto dell’Eden perduto e non ancora ritrovato; l’ho sviluppato in due serie di quadri, una serie A e una serie B, che mostro faccia a faccia.

La prima serie presenta dieci stampe digitali su vetro, in un formato 30×40 orizzontale (se affeziono questo formato quasi A3, è che mi fa pensare a un approccio da amanuense del lavoro artistico: “raccolto”, per non dire “ispirato”). Attraverso l’immagine resa in tal modo trasparente, si intravede il testo di Dante, il Canto XXVIII del Purgatorio, riprodotto su buona carta e in continuo, senza a capo. E’ questo il Canto in cui il poeta, accomiatatosi da Virgilio, si trova nel giardino delizioso da cui i primi peccatori sono stati cacciati; così perfetto questo giardino che anche gli animali ne sono assenti.

Elemento naturale ed elemento umano sono qui indiscernibili, fusi in quella che potrebbe essere una visione del mondo dopo il passaggio dell’uomo, un mondo tornato foresta primordiale. Non si sa se un pescatore di perle venuto da un’altra galassia potrebbe ritrovarvi le ossa divenute coralli, gli occhi diventati perle, neanche impiegando la tecnologia anti-scientifica preconizzata da Hannah Arendt: perforazione contro stratigrafia, nella necessaria distruzione del passato che permette di estrarne ciò che è “prezioso e raro”.

Di fronte a questa sequenza ho concepito un’altra linea di stampe su vetro, dello stesso formato; in questi lavori il fattore umano è più marcatamente presente. Si intravedono soprattutto vestigia monumentali, più “strutturate”, perdute nella natura, ancora riconoscibili anche se forse non più ricostruibili. Di là dalla fotografia si riconoscono carte topografiche ritagliate e rimesse insieme: potrebbero, o forse no, tracciare la localizzazione di questi improbabili paradisi terrestri.

Su ogni carta ho vergato una lettera, in carattere Bodoni: E, T, I, N, A, R, C, A, D, I, A, l’ultima I essendo raddoppiata dall’immagine di un bastone dipinto di rosso, affossato nel pavimento della ex cattedrale di Castro.

Mi provo a oscillare fra una certa “bellezza” dell’immagine e il suo carattere ammonitore. Niente vi cerco di spettacolare o di drammatico, ma penso aleggi da quelle parti una qualche inquietudine: un sentimento che ci accomuna e ci fa “umana cosa”.

Ciao ciao,

SP
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Serie completata il 30 aprile 2022.


Giovanni Francesco Barbieri (Il Guercino), Et in Arcadia ego, 1618-1622, dettaglio, Roma, Galleria Barberini.
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Nicolas Poussin, Et in Arcadia ego, 1637-1638, dettaglio, Parigi, Museo del Louvre.

 

 

Naples April-May 2023

Affreschi rinvenuti

Una mostra nella Sala Catasti dell’Archivio di Stato di Napoli
in dialogo con le pitture di Belisario Corenzio

Piazzetta Grande Archivio 5

Dal 28 aprile al 27 maggio 2023

Dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18, il sabato dalle 10 alle 13

Affreschi rinvenuti

Una proposta espositiva per l’Archivio di Stato di Napoli

Ciò che propongo alla direzione dell’Archivio di Stato di Napoli è allo stesso tempo un’investigazione da storico e un intervento d’artista. Secondo una pratica che mi è usuale, intenderei sovrapporre, alle immagini delle pitture di Belisario Corenzio recentemente riscoperte nella ex sala del Capitolo, riproduzioni di testi d’epoca e fotografie fatte da me. Su questi differenti strati apporrei interventi di colore.

Sarebbe il mio un approccio evidentemente personale: una stratificazione dell’opera riscoperta di Belisario Corenzio e del mio proprio lavoro. L’affresco di inizio Seicento, il suo stato attuale, quadri miei di dieci e trent’anni fa, la loro sovrapposizione alle foto degli affreschi, la visione nuova (una fra le tante possibili) del mio lavoro e anche di quello del pittore greco-partenopeo.

Potrei sviluppare questo dialogo in tre, quattro serie di quadri di medio formato (fra il 44×106 e il 32×44), per mostrare i quali occorrerebbero quattordici-quindici metri lineari, in un qualunque luogo all’interno dell’Archivio, purché le pareti siano chiare e adeguatamente illuminate.

Una serie Corenzio-Robinson: fotografie del restauro in corso stampate su vetro e sovrapposte a mie foto di spiagge incontaminate o quasi (nella mia pratica artistica uso spesso miei lavori passati, senza un rapporto esplicativo con le iconografie su cui intervengo).

Una serie Corenzio-Gulliver: dettagli degli affreschi prima del restauro, giustapposti a quadri miei antichi di trent’anni, ritagliati e rilavorati.

Una serie Corenzio-Hölderlin: la famosa lettera del poeta tedesco al suo amico Böhlendorf riprodotta su vetro: qui la sua distorta visione dell’antichità si accavallerebbe alla scialbatura gialla che copriva le pitture di Belisario.

Una piccola serie dalle fonti più miste: le riproduzioni dei pagamenti al Corenzio, o degli articoli critici ottocenteschi, sovrapposti a mie foto di soggetto “rupestre”: abbazie abbandonate e riprese dalla natura, romitori medievali, necropoli etrusche.

Il contrasto, e forse la confusione di queste sovrapposizioni mi paiono elementi interessanti da proporre al cortese pubblico dell’Archivio di Stato, che cerca piuttosto schiarimento e spiegazione dalle cose del passato. Il mio è un percorso d’artista: più che interpretazione o spiegazione, propongo dubbi e (spero fertile) confusione.

4 agosto 2022

 

 

Il pieghevole in consultazione alla mostra:
Affreschi rinvenuti pieghevole_SMALL

 

 

 

 

RnS, Rovine nella selva (2023).

This just-completed series is the culmination of a work I have revisited several times in recent years (2016, 2022). The hiking maps previously used as a background were replaced by military maps. A striking addition is the phrase “Et in Arcadia Ego” (Guercino, Poussin) spelled out in a succession of red fluorescent letters.
For the short text (Italian) accompanying the work in its entirety, see:
Rovine nella selva 2022.
This series follows an earlier one (2016-2017), which features sites in the same region (Tuscia, Latium) and plays with the relationship between image and text, and specifically Dante Alighieri’s Purgatorio XXVIII (“dentro alla selva antica…”):
Ruins in the Forest series A.


RnS 01, Vallerosa.


RnS 02, Fratenuti.


RnS 03, Sutri.


RnS 04, Rofalco.


RnS 05, Civita.


RnS 06, Poggio Conte.


RnS 07, Norchia.


RnS 08, Grotta  Porcina.


RnS 09, Castro.


Rns 10, Cuccumella.

 

 

La strada delle annurche, 2023.

La strada delle annurche Poesie (1973-2020) è il titolo della raccolta poetica di Marco Rossi-Doria, a cura e con una prefazione di Franco Vitelli, per le edizioni Studium di Roma (2023).

Gli inchiostri che accompagnano la raccolta datano della fine degli anni Ottanta, quando resi visita a Marco in Kenya, ove insegnava alla scuola elementare italiana. Li ho recentemente ripresi in una sorta di remix, quando mi ha chiesto di illustrare anche questo suo ultimo volume.

Dalla prefazione di Franco Vitelli:

NOTIZIA PER IL LETTORE

Il presente volume, sotto il titolo La strada delle annurche, raccoglie la produzione poetica di Marco Rossi-Doria strutturata in cinque sezioni che occupano lo spazio-tempo che va dal 1973 al 2020. L’autore, in verità, ha fatto un uso parsimonioso dell’espressione in versi e ha mostrato sempre una certa ritrosia nei confronti di un lavoro di sistemazione; ha dovuto cedere, infine, alle insistenze esterne che reclamavano la bontà dell’iniziativa.

Di ciascuna sezione, con titolazione d’autore, se ne dà in seguito notizia specifica, qui basti accennare al fatto che il libro raccoglie in successione cronologica poesie edite e inedite, riuscendo così a dare una fisionomia intera. 

Terra di nessuno comprende 16 poesie degli anni 1973-1983. Esse sono già riunite in una plaquette in carta d’Amalfi pubblicata a Napoli da Forum nel 1984 in 239 esemplari numerati, con 4 acquerelli di Salvatore Puglia. La poesia Generazione è stata anche pubblicata in «Linea d’Ombra», febbraio 1989, p. 64. Rispetto alla plaquette, nella versione odierna l’autore ha apportato alcuni cambiamenti riguardanti la diversa misura dei versi, l’aggiunta o sostituzione di titoli, l’eliminazione di una poesia e di alcune dediche.

Il poemetto Laerte è stato composto tra il 1983 e il 1986 e pubblicato da Cesare Garboli su «Paragone/Letteratura», ottobre 1987, pp. 8-29.

Su proposta di Michel Deguy, Laerte è poi uscito su Po&sie (n. 47, 4° trimestre 1988), tradotto in francese da Caroline Peyron.

Giallonapoli riunisce 27 poesie scritte tra il 1984 e il 1988.

Di queste, tre (La dimora distante, Altri venuti (diverso titolo di Ziggurat), Giallo napoli) sono state stampate a Strasburgo nell’autunno del 1987, con grafica di Philippe Poirier, in un quaderno in carta da imballaggio in 349 copie numerate, titolato Giallo Napoli. Qui erano presenti anche poesie di Salvatore Di Natale e Pasquale Sica, con cinque inchiostri di Salvatore Puglia e un testo di Fabrizia Ramondino.

Nello stesso anno, sempre a Strasburgo, altre dieci poesie, in versione italiana e francese  – Port Bou, mezzogiorno, Selene e le sue compagne, non è la collera Eterna, mé at cori (diverso titolo di Balsamo), PilatoEstremo, Il fantasma nelle stanze (con testo ridotto), il geco che rivedo, da aggiungere  – sono apparse in edizione numerata in 100 copie (Dix poèmes de Marco Rossi-Doria), su carta povera, con disegni di Philippe Poirier.

 

 

 

Un camp d’internement dans la garrigue (2016-2023)

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Le Camp Saint Nicolas.

Comme on le sait, une stèle est la statue d’un lieu. Elle le constitue en point de repère de la mémoire historique, comme une épingle sur une carte d’état major.

Un lieu en manque, et l’on ne devrait pas tarder à l’en pourvoir : le camp d’internement de Saint Nicolas, situé dans les limites administratives de la commune de Sainte Anastasie du Gard et de celles de Nîmes, à l’intérieur du terrain militaire des Garrigues (actuellement géré par le 2e Régiment étranger d’infanterie), à proximité du croisement des routes qui relient Nîmes, Uzès et Poulx (départementales 979 et 135).

Dans le terrain militaire des Garrigues (près du Mas de Massillan) existait déjà un camp, ouvert depuis janvier 1940 pour environ 200 « étrangers hostiles » (surtout allemands et autrichiens), et qui hébergeait déjà autant de républicains espagnols (1). Quelques kilomètres plus au nord, le long de la route départementale qui relie Nîmes à Uzès (dont le trajet a changé depuis) et à proximité d’une ferme désaffectée, existait un grand terrain plat. C’est là où arrivèrent, le 27 juin 1940, après cinq jours d’un tragi-comique périple en train et d’une marche à pieds de quinze kilomètres, environ 2000 détenus provenant du camp des Milles. (2)

Les conditions de vie y étaient rudes. Les internés, logés dans une centaine de tentes « marabout » pourvues d’un sol en paille, souffraient du mistral, de la chaleur, des insectes, de la dysenterie et de l’angoisse d’être livrés aux nazis (la commission Kundt, chargée du recensement et de la sélection des internés de guerre, fut active peu après la signature de l’armistice et se présenta effectivement début août).

Le commandement du site siégeait dans les bâtiments du Mas Saint Nicolas, qui était peut-être un ancien relais de poste, et dont aujourd’hui ne subsistent que quelques murs en ruine. Le camp fut fermé à l’automne 1940.

Certains s’enfuirent (l’écrivain Lion Feuchtwanger, le peintre Max Ernst) ; d’autres en furent libérés (Franz et Ulrich Hessel, le père et le frère de Stéphane) ; au moins un fut reconduit en Allemagne (3) (naturellement, la plupart de ces prisonniers étaient des Krieghetzer, soit des opposants et/ou des juifs).

Deux tableaux du peintre Henry Gowa, lui aussi interné, La marche de Saint Nicolas et Les naufragés, témoignent de cette expérience. Lion Feuchtwanger et Max Ernst la décrivent dans deux livres. Le galeriste Alain Paire et l’historien André Fontaine ont publié des travaux de recherche. Des informations fragmentaires se trouvent dans les biographies des personnes ayant séjourné dans ce camp de la garrigue (4), ainsi que dans les sites web consacrés à la déportation.

Mon propos est de parler de ce lieu, pour qu’on en connaisse mieux l’histoire, et pour que – éventuellement – un signe de mémoire y soit apposé.

(juin 2016)

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(1)
“CAMP DES GARRIGUES
II est situé dans le vaste terrain de manoeuvres militaires du même nom à 10 km au nord de Nîmes et jusqu’au bord du Gardon. Ouvert en janvier 1940 pour 200 détenus millois, il est contigu à un autre camp réservé aux deux cents réfugiés espagnols qui ont eux mêmes monté leurs baraquements en parpaings après avoir souffert du fort mistral tout le temps qu’ils ont vécu sous la tente. Ils cèdent une maisonnette aux Allemands qui, en attendant, en sont réduits à s’entasser et à en construire une deuxième le plus rapidement possible.”
André Fontaine, « Quelques camps du sud-ouest (1939-1940) », Recherches régionales n.104, 1988.

(2) Le 22 juin 1940, une semaine après l’entrée de l’armée allemande à Paris et le jour même de la signature de l’armistice, les internés antinazis du camp de Milles obtinrent d’être déplacés en train à Bayonne, dans l’espoir d’y trouver un navire pour s’échapper. Ils en furent refoulés, sur un malentendu quant au mot « allemand » et probablement on trouva en toute hâte la solution provisoire du camp des garrigues.

(3) Anne Grynberg, « Les camps du sud de la France : de l’internement à la déportation », Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, N. 3, 1993, p. 562.

(4) Entre autres : Max Ernst, Franz Hessel, Ulrich Hessel, Lion Feuchtwanger, Wols (le peintre et photographe Alfred Otto Wolfgang Schulz), Henry Gowa, Adolf Lekisch, Golo Mann, Alfred Frisch, les peintres Max Lingner et Eric Isenburger. D’autres et nombreux noms sont répértoriés dans le journal de Lion Feuchtwanger et dans les notes à l’édition allemande du Diable en France (Der Teufel in Frankreich, Berlin 2000), ainsi que dans les liasses des archives départementales du Gard, et plus précisément dans les rapports de police qui documentaient les évasions du Camp Saint Nicolas (voir images en fin d’article).
Voir aussi Sophie D’agostino, Les Juifs dans le Gard durant la seconde guerre mondiale, Mémoire de maîtrise d’histoire contemporaine, Université Paul Valéry de Montpellier, octobre 1993, où une large place est donné au témoignage de l’interné (par la suite résistant) Alfred Frisch.

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02 Entre Nimes et le Gardon

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Henry Gowa :
03 Gowa La marche

Henry Gowa, Les naufragés :
04 Gowa Les naufragés

La tente “marabout” :
Camp Massillan 02

Relâche de Ulrich Hessel :
06 Entlassung Ulrich Hessel
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Probable emplacement du camp, quelques dizaines de mètres à l’ouest du Mas Saint Nicolas :

A environ 1 km, le croisement des D979 et D135 :12-Croisement-D-979_135

Deux articles d’Alain Paire :
Paire sur Gowa
Paire sur Ernst

Deux liens sur ce sujet:
Ce même article de mon site, paru dans Médiapart en juin 2016 dans une version plus ancienne et moins détaillée.
Une émission radiophonique réalisée par Dominique Balay pour France Culture en 2017.

La suite de mes démarches:

Retour sur les lieux, mars 2018

Feuchtwanger, 2022

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Et encore :

Un article de Jean-Jacques Salgon paru dans La nouvelle cigale uzégeoise en 2018.

Et, dans la même revue, un article de François-Guy Abauzit (mai 2010).

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Un texte de Marie-Paule Hervieu sur Feuchtwanger (extraits)

Lion Feuchtwanger, après avoir habité Sanary, lieu de rencontre d’intellectuels allemands antifascistes en exil, est interné au camp des Milles en 1939 et 1940. “Le train-fantôme” évacuant les détenus devant l’avance allemande, suscite la rumeur que “2000 boches” allaient arriver à Bayonne, ce qui provoque leur retour et leur internement au camp de Saint-Nicolas, près de Nîmes, d’où Feuchtwanger s’évade déguisé en femme. Il vit caché chez le vice-consul américain à Marseille, en attendant que Varian Fry le fasse passer en Espagne avec sa femme Marta…
(…)
Le troisième internement, dans le camp de tentes de la ferme Saint Nicolas, près de Nîmes, en zone non occupée. À quinze kilomètres, dans la montagne, les conditions de vie des deux mille internés sont moins rudes : si le camp est « ouvert », dans la mesure où les barbelés et les soldats de garde n’interdisent pas les descentes à la ville, de même que les visites de membres de la famille – Lion Feuchtwanger y a reçu la visite de sa femme évadée de Gurs pendant quatre jours –, le camp n’en reste pas moins surveillé et les évadés sont recherchés et ramenés par la gendarmerie française. Les corvées sont multiples, les latrines inexistantes, les moustiques abondent et la dysenterie menace, Lion Feuchtwanger en a été atteint et est resté quelques jours en péril de mort. Et surtout « le désespoir se faisait de plus en plus fort au milieu de cette ambiance de foire », avec des trafics en tous genres. Ce qui nous rongeait, ce n’était pas seulement le danger, on ne peut plus tangible, de la clause d’extradition, c’était aussi cette inactivité forcée, l’absurdité apparente de notre séjour dans le camp. On tournait en rond, on bavardait, on parlait toujours des mêmes choses, et l’on attendait de tomber malade ou d’être livré aux nazis » (page 256). L’obsession de ces hommes était donc d’être libérés ou, à défaut, de récupérer leurs papiers et de gagner Marseille.
L’évasion et le sauvetage. C’est dans ces conditions qu’avec l’aide de sa femme et du consulat américain de Marseille, Lion Feuchtwanger s’évade, habillé en dame anglaise. Revenus et cachés à Marseille, Lion et Marta Feuchtwanger empruntent la voie de terre, en traversant à pied les Pyrénées, puis ils gagnent Barcelone et prennent le train pour Lisbonne. Lion s’embarque pour les États-Unis sur l’Excalibur et débarque à New York le 5 octobre 1940, Marta le rejoint 15 jours plus tard, ils sont sauvés.

Note février 2023 : pour la précision, ce fut le vice-consul américain à Marseille, Myles Standish, qui attenda Lion Feuchtwanger en voiture diplomatique aux alentours du Camp Saint Nicolas, le dimanche 21 juillet 1940, et le ramena à Marseille, où l’écrivain fut hébergé par l’autre vice-consul, Hiram Bingham IV, avant que l’on organise, peut-être avec l’aide de Varian Fry (arrivé à Marseille le 14 août), sa fuite vers les États Unis :
Bingham worked with Fry on notable cases, including the emigration of Marc Chagall, political theorist Hannah Arendt, novelist Lion Feuchtwanger, and many other distinguished refugees. In the case of Feuchtwanger, Bingham went so far as to help spirit the novelist out of an internment camp and sheltered him in his own house while plans were made to help the refugee walk over the Pyrenees (https://en.wikipedia.org/wiki/Hiram_Bingham_IV).

Il faut aussi citer le rôle de Nanette Lekisch, épouse d’un médecin de Mainz interné aussi aux Milles et à Saint Nicolas, surnommée par la suite “l’ange de Nîmes”, qui guida Standish le jour de l’évasion de Feuchtwanger (voir le seul ouvrage qui à ma connaissance lui est consacré : https://www.hentrichhentrich.de/buch-moppi-und-peter.html).

Feuchtwanger, avec les autres 2000 allemands et autrichiens et apatrides (déchus par Hitler de la nationalité allemande) était arrivé au Mas Saint Nicolas le 27 juillet 1940, au bout du périple qu’il décrit dans le Diable en France et d’une longue marche dans la garrigue. Il sera bientôt au courant de l’article 19 de l’armistice qui venait d’être signé le 22 juin :
Article 19.
Tous les prisonniers de guerre et prisonniers civils allemands, y compris les prévenus et condamnés qui ont été arrêtés et condamnés pour des actes commis en faveur du Reich allemand, doivent être remis sans délai aux troupes allemandes. Le Gouvernement français est tenu de livrer sur demande tous les ressortissants allemands désignés par le Gouvernement du Reich et qui se trouvent en France, de même que dans les possessions françaises, les colonies, les territoires sous protectorat et sous mandat.

Il faut penser que la plupart des Krieghetzer avaient choisi de quitter le camp des Milles et s’étaient retrouvés à Saint Nicolas, alors que les allemands non-opposants n’avaient pas pris le fameux train de Bayonne :

(D’après Jacques Grandjonc L’émigration allemande (1933-1945) et les camps d’internement (1939-1944) dans le sudest de la France, Amiras-Repères-Revue occitane, 1984, n° 8, p. 5-17).
.
Pour aller vite, je me borne à suggérer une très bonne bibliographie sur l’internement en France entre 1939 et 1945 :
https://criminocorpus.org/fr/outils/bibliographie/consultation/themes/14621/
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La remarquable recherche de l’Association philatélique du Pays d’Aix :
(http://appa.aix.free.fr/camp/pages/camp02.html) qui a été publié dans :
Guy Marchot, Lettres des internés du camp des Milles (1939-1942), préfaces d’Yvon Romero et Alain Chouraqui, L’Association Philatélique du Pays d’Aix, B.P 266, 13608 Aix-en -Provence cedex 1.

21 juin (1940)
2010 internés arrivent à arracher à l’état-major de Marseille la décision qu’un train les emmène à Bayonne. On leur restitue documents et argent déposés lors de leur arrivée au camp.
Dans la nuit, suicide au camp de l’écrivain Walter Hasenclever.

22 juin
Signature de la convention d’armistice qui entre en vigueur le 25 juin.
Le “train fantôme” part en direction de Bayonne via Arles, Sète, Tarbes, Lourdes, Pau. A Bayonne il rebroussera chemin vers Nîmes.

lettre Milles

Enveloppe + 2 lettres 24.6.40 :
. cachet à date “Les Milles Bouches-du-Rhône 18 30 . 24-6-40”
. cachet “Service de garde des étrangers – Le Vaguemestre”
. manuscrit “F. M.” (Franchise militaire)
. manuscrit : l’adresse de l’expéditeur : Médecin Capitaine P… Camp des Milles prés Aix en Provence B, du Rh.”

A l’intérieur on trouve deux lettres du Médecin Capitaine, dont une fait allusion au “train fantôme”.

Le “train fantôme” arrive à Nîmes. Les détenus sont dirigés vers un camp de toile improvisé à Saint-Nicolas.

(…)

1er août
La commission de contrôle dirigée par Ernst Kundt inspecte le camp des Milles.

4 août
La commission Kundt inspecte le camp improvisé de Saint-Nicolas et en demande la fermeture dans les meilleurs délais.

(…)

23 octobre
Environ 300 internés du camp des Milles et de Saint-Nicolas sont transférés à Gurs.

 .

Aux Archives départementales du Gard
(Cabinet du Préfet 1940-1945, 1W 273), signalements d’évadés du Camp Saint Nicolas :

 

Aussi (avril 2023), deux cartes du cadastre napoléonien (1811 et 1970) où l’on montre le chemin parcouru par Feuchtwanger le jour de son évasion du camp, comparées au images actuelles issues de Google maps.
Le chemin rural n. 23 du Plateau Saint Nicolas, qui était l’ancienne route de Nîmes à Uzès et où la voiture du consulat américain a recueilli Feuchtwanger le dimanche après midi 21 juillet 1940, a été remplacé entre la dernière guerre et 1970 par la route nationale n. 579 d’Aubenas au Grau du Roi (devenue la départementale 979 en 2006-2007).


(Archives départementales du Gard, Cadastre Sainte Anastasie 1053W28-26)


J’ai marqué le site ou probablement Feuchtwanger, au retour de l’auberge de La chaumière, a rencontré Nanette Lekish qui  l’attendait, entre le camp et la bifurcation pour la ”baignade” de Font verte (remerciements à Jean Minier pour la communication de la carte d’État major).

L’arrivée au camp, ainsi que la vie qu’on y menait et enfin les vicissitudes de son évasion  sont bien racontés par l’écrivain allemand dans Der Teufel in Frankreich. Erlebnisse, Berlin 2000 (1982). Traduction française : Le diable en France, Paris 1985 (Livre de Poche 2012). Je réproduit ici la page de son journal relatant la journée du 21 juillet.

L’auberge La chaumière, à proximité du Pont Saint Nicolas, démolie en 2013-2014 :

 

 

 

Terra di nessuno, 1984.

This collection of poems by a dear friend, Marco Rossi-Doria, contains my first published artworks. Some of the watercolors illustrating the book were executed at Marco’s home on the Sorrento Peninsula outside of Naples, while others were done during a wintertime visit to Venise, on a pier overlooking the Island of the Giudecca.

 


(https://opac.bncf.firenze.sbn.it/bncf-prod/resource?uri=CFI0081055)

 

 

 

Mamotii, 1988-2004.

I lavori della serie Inchiostri-Mamotii sono stati eseguiti durante e al ritorno da due viaggi, in Kenya e nelle Cina meridionale. Presentano quindi due influenze incrociate, quella dei paesaggi africani e quella della pittura cinese. Il supporto usato è invariabilmente la carta da acquarello della Cartiera Amatruda di Amalfi, mentre i colori sono di ogni tipo: inchiostro da penna stilografica per la sua tendenza a diluirsi nell’acqua, caffè, laterite sciolta nella colla vinilica.

I Mamotii* sono figure indistinte, che rimangono larvali e non hanno ancora raggiunto una forma articolata. Potrebbe trattarsi degli alti termitai visibili lungo la strada del lago Turkana, oppure delle sagome dei nomadi che percorrono quella savana, oppure di personaggi mitologici. Per lo più, a suggerire un possibile dialogo fra questi personaggi di natura diversa, in ogni inchiostro figurano almeno due forme.

Negli anni ’90 ho declinato questi disegni in forme sculturali, con il piombo fuso nel tegamino in cucina e colato nelle forme scavate nel mastice da vetraio, oppure con il silicone trasparente da idraulico. Ho anche usato giri di stoppini incerati (Kerzendocht) comprati nei negozi di articoli religiosi in Baviera.

*Il termine mamozio (à la napolitaine) mi viene da un uso fra amici, quando di qualcuno si voleva dire che era un “diverso”, un qualcosa di informe e indistinto ma pure presente, un pò come i monacielli che abitano le vecchie grandi case e gli hunchback inglesi e i gobbetti tedeschi (di cui parla Hannah Arendt nel suo saggio su Walter Benjamin), e quelli che mi sono permesso di ribattezzare Odradek, in un lavoro dal titolo La preoccupazione del padre di famiglia.
Pare che l’espressione venga dalla statua di un Mamotius, ritrovata a Pozzuoli su un sito soggetto al bradisismo, scultura tutta mutilata e forse corrosa dalle emanazioni sulfuree.

 

Nîmes January-May 2023



Quatre écrivains dans la garrigue

Ceci n’est pas à proprement parler un travail artistique, bien que je me considère avant tout comme un artiste visuel. Il se situe entre recherche historique, critique littéraire et création.

L’inspiration pour cette série d’images sur le territoire des écrivains me vient de la lecture d’un texte littéraire, Le Dépaysement. Voyages en France de Jean-Christophe Bailly.

Le chapitre sur Nîmes, « Castellum aquae », débute par la définition que Francis Ponge faisait de lui-même : poeta neamusensis. Or, pour un écrivain d’origine nîmoise, ayant passé toute sa vie ailleurs, cette affirmation ne peut tenir qu’à une très grande force symbolique de l’image de cette ville.

Il est évident qu’elle vient de l’héritage de la romanité, de son autorité historique, mais il y a peut-être autre chose. La langue latine, ses dérivations méridionales, l’occitan et le provençal, le fait de se considérer dépositaire et interprète de ce legs.

Jean Paulhan, issu d’une famille cévenole, lié à Ponge par d’étroits rapports de parenté ainsi que par une forte relation intellectuelle, se voulait descendant d’un Paulianus, consul à Nemausus au début de l’ère chrétienne. Les lettres et les dessins envoyés à ses parents depuis le ‘’masé’’ du grand-père sont les documents que j’ai voulu accompagner par l’image.

J’ai donc commencé à parcourir les lieux que ces écrivains avaient sans doute parcourus, à la recherche de vestiges à photographier.

Des dessins de Norah Borges, peintre et sœur de l’écrivain argentin Jorge Luis Borges, m’ont amené aux jardins de la Fontaine et à la relecture de Fictions. L’une des nouvelles de ce recueil, Pierre Menard, auteur du Quichotte, porte en exergue la date Nîmes 1939, alors que, certainement, l’auteur argentin se trouvait à Buenos Aires à ce moment-là. D’ailleurs, toute son œuvre, à l’instar de la nouvelle en question, est un tissu d’embûches dans des méandres historiques et littéraires. Ce qui est avéré, est qu’il avait séjourné dans le Midi et à Nîmes à plusieurs reprises.

J’ai justement utilisé sa technique pour mon propre travail, en plaçant des légendes sous des images de lieux qui ne leur correspondaient pas, ou en brouillant les reproductions de textes et les fonds visuels que je leur avais associés.

Une peinture d’Henry Gowa, La marche de Saint Nicolas, m’a amené sur l’ancienne route départementale entre Nîmes et Uzès. J’ai utilisé le journal de l’écrivain allemand Lion Feuchtwanger, l’auteur du Juif Süss, interné pendant l’été 1940 dans le Camp Saint Nicolas, pour accompagner mes photos de ce qui reste de ce camp et des traces de mémoire, dérisoires peut-être, que j’y ai laissées.

Enfin, les cartes d’état-major qui constituent l’arrière-plan de ces tableaux ne correspondent pas au Camp des garrigues, l’épisode ‘’vichyste’’ (avec son article 17 de l’armistice) n’étant pas unique en Europe. Elles décrivent ici des lieux situés dans les alentours de Rome, ville dont je suis originaire et dont je ne peux pas refuser l’héritage.

Quatre écrivains dans la garrigue (2022)

Ceci n’est pas à proprement parler un travail artistique*, bien que je me considère avant tout comme un artiste visuel. Il se situe entre recherche historique, critique littéraire et création.

L’inspiration pour cette série d’images sur le territoire des écrivains me vient de la lecture d’un texte littéraire, Le Dépaysement. Voyages en France de Jean-Christophe Bailly.

Le chapitre sur Nîmes, « Castellum aquae », débute par la définition que Francis Ponge faisait de lui-même : poeta neamusensis. Or, pour un écrivain d’origine nîmoise, ayant passé toute sa vie ailleurs, cette affirmation ne peut tenir qu’à une très grande force symbolique de l’image de cette ville.
Il est évident qu’elle vient de l’héritage de la romanité, de son autorité historique, mais il y a peut-être autre chose. La langue latine, ses dérivations méridionales, l’occitan et le provençal, le fait de se considérer dépositaire et interprète de ce legs.

Jean Paulhan, descendant d’une famille cévenole, lié à Ponge par d’étroits rapports de parenté ainsi que par une forte relation intellectuelle, se voulait descendant d’un Paulianus, consul à Nemausus au début de l’ère chrétienne. Les lettres et les dessins envoyés à ses parents depuis le “masé” du grand-père sont les documents que j’ai voulu accompagner par l’image.

J’ai donc commencé à parcourir les lieux que ces écrivains avaient sans doute parcourus, à la recherche de vestiges à photographier.

Des dessins de Norah Borges, peintre et sœur de l’écrivain argentin Jorge Luis Borges, m’ont amené aux jardins de la Fontaine et à la relecture de Fictions. L’une des nouvelles de ce recueil, Pierre Menard, auteur du Quichotte, porte en exergue la date Nîmes 1939, alors que, certainement, l’auteur argentin se trouvait à Buenos Aires à ce moment-là. D’ailleurs, toute son œuvre, à l’instar de la nouvelle en question, est un tissu d’embûches dans des méandres historiques et littéraires. Ce qui est avéré, est qu’il avait séjourné dans le Midi et à Nîmes à plusieurs reprises.

J’ai justement utilisé sa technique pour mon propre travail, en plaçant des légendes sous des images de lieux qui ne leur correspondaient pas, ou en brouillant les reproductions de textes et les fonds visuels que je leur avais associés.

Une peinture d’Henry Gowa, La marche de Saint Nicolas, m’a amené sur l’ancienne route départementale entre Nîmes et Uzès. J’ai utilisé le journal de l’écrivain allemand Lion Feuchtwanger, l’auteur du Juif Süss, interné pendant l’été 1940 dans le Camp Saint Nicolas, pour accompagner mes photos de ce qui reste de ce camp et des traces de mémoire, dérisoires peut-être, que j’y ai laissées.
Enfin, les cartes d’état-major qui constituent l’arrière-plan de ces tableaux ne correspondent pas au Camp des garrigues, l’épisode ‘’vichyste’’ (avec son article 19 de l’armistice) n’étant pas unique en Europe. Elles décrivent ici des lieux situés dans les alentours de Rome, ville dont je suis originaire et dont je ne peux pas refuser l’héritage.

 

 Francis Ponge

 Pierre Menard

 Jean Paulhan

Lion Feuchtwanger

Ces séries sont ponctuées par d’autres images retravaillées, peut-être plus personnelles, de la garrigue gardoise :


Nella garriga 08, 2017, 45×60.
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Nella garriga 09, 2017, 45×60.
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Nella garriga 06, 2017, 45×60.
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From the Road 01 (Camp de César), 2018, 32×50.
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From the Road 02 (Nages), 2018, 32×50.
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Zoology 03 (Pont du Gard), 2019, 31×50.
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Garriga 14, 2017, 32×32.

 

*Parce-que, dans son résultat, l’intention est encore bien présente et elle n’amène pas vraiment à une perte de soi : à une partielle redécouverte de soi-même, peut-être.

 

Nuovi mostri (2023)

Nuove foto di siti costieri, le saline di Aigues Mortes o lo stagno di Thau, nel sud della Francia. Alcune riproduzioni dall’opera di Ulisse Aldrovandi (vedi il mio Histoires des monstres, 2021), neglette a una prima selezione. Trattasi ancora di mostri marini. Una quantità di “firme” al timbro inchiostrato di rosso, da me scavate nelle pietre saponarie riportate dalla Cina trent’anni fa. E, come quarant’anni fa, segni inintelligibili a matita o al pastello a cera, scritture improbabili. Il tutto ripassato col pennello intinto nel fondo di caffè e infine qualche schizzo d’inchiostro di china. Servire su un letto di alghe.


Nuovi mostri 01A, 2023, 30×42.
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Nuovi mostri 02, 2023, 30×42.
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Nuovi mostri 03A, 2023, 30×42.
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Nuovi mostri 04, 2023, 30×42.
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Nuovi mostri 05, 2023, 30×42.
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New photos of coastal sites, the salt pans of Aigues Mortes or the Thau Lagoon, in the south of France. Some reproductions from the work of Ulysses Aldrovandi (see my Histoires des monstres, 2021), not included in a previous selection. The subject is once again sea monsters. A number of red-inked stamp ‘signatures’ I excavated from soapstones brought back from China thirty years ago. And, as forty years ago, unintelligible marks in pencil or wax crayon, improbable writings. All brushed over with a brush dipped in coffee grounds and finally a few splashes of Indian ink. Serve on a bed of seaweed.
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Le monstre de Brignogan-Plage, 2023, 20×30.

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Le monstre de Mèze 02,
2023, 20×30.
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Le monstre du Gardon, 2023, 20×30.
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Les monstres de Mèze, 2023, 20×30.
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Nouvelles photos de sites côtiers, des salines d’Aigues Mortes ou de l’étang de Thau, dans le sud de la France. Quelques reproductions de l’œuvre d’Ulisse Aldrovandi (voir mes Histoires des monstres, 2021), négligées lors d’une première sélection. Ce sont toujours des monstres marins. J’ai réutilisé, en “signature”, des tampons creusés dans des pierres à savon ramenées de Chine il y a trente ans. Et, comme il y a quarante ans, des marques inintelligibles au crayon ou au crayon de cire, des écritures improbables. Éclabousser le tout avec un pinceau trempé dans du marc de café et enfin quelques garnitures à l’encre de Chine. Servir sur un lit d’algues.

 

 

 

Con il cuore fermo (2022)

Ce travail s’inspire d’un autre documentaire de Gianfranco Mingozzi, moins connu que La Taranta : Con il cuore fermo, Sicilia (1965). Il n’est pas moins magistral que celui sur Galatina. Ce film connut des vicissitudes difficiles : conçu comme un long-métrage autour du personnage de Danilo Dolci (La violenza), il fut interrompu en plein tournage à cause du retrait de la maison de production. Mingozzi, avec son propre argent et l’aide technique d’un producteur indépendant, en fit un moyen-métrage qui jouit de l’admirable commentaire de Leonardo Sciascia (voir : Sciascia per Con il cuore fermo).
“Le détroit de Messine n’est donc pas seulement la ligne de partage entre le continent et une île, mais la ligne qui coupe les espoirs et les désirs de l’absence, la soumission, la misère, tous les problèmes d’un monde qu’il faut regarder d’un œil clair et d’un cœur ferme, publiquement, avec le courage de les affronter et de les résoudre.” (Leonardo Sciascia, in La terra dell’uomo, Lecce 2008, p. 83).

Les deux premières minutes du documentaire :
Gianfranco Mingozzi Con il cuore fermo, Sicilia – Sequenza iniziale.mov

Je n’ai utilisé de ce film que quelques captures d’écran, issues de la première séquence, où une voix off énumère les statistiques sur l’émigration de la Sicile vers l’Europe du Nord et où l’on montre les adieux des familles sur le quai de la gare maritime de Messine.
J’ai creusé le titre, respectant la police et le format originaux, au Bic sur des cartes topographiques. À travers les mots du titre, le fond du tableau, en rouge fluorescent. Les trois images arrêtées sont transférées sur verre et constituent le premier plan de chaque pièce.
J’ai utilisé sans doute les séquences les plus anodines du film, mais c’étaient les seules où je pouvais me sentir autorisé à intervenir. D’autres, outre celles des meurtres mafieux dont le montage est impressionnant, sont trop fortes pour ne permettre autre chose que de regarder : les corps luisants de sueur des travailleurs dans les mines de soufre ; la fuite des enfants du cortile Cascino devant la caméra, dans la dernière séquence.

 


Capture d’écran : http://www.gianfranco-mingozzi.it/D.%20Documentari.html
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Ainsi, le détroit de Messine…


mais sépare l’espoir du désir sans confiance,

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Le DVD dont j’ai extrait les arrêts sur image est inclus dans le livre publié par les éditions Kurumuny de Lecce en 2008 : Gianfranco Mingozzi, La terra dell’uomo. Storie e immagini su Danilo Dolci e la Sicilia.

Les liens vers mes travaux précédents inspirés des documentaires de Mingozzi : Galatina remix, Galatina 1961.

Un extrait de Con il cuore fermo, Sicilia (5 minutes) :

 

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Feuchtwanger (2022)

“Les dimanches d’hiver, quand en général il n’y a pas d’entrainement dans le terrain militaire du Camp des garrigues, il y a une certaine tolérance, ou peu de surveillance, à l’égard des randonneurs, des chercheurs de champignons et des coureurs. Mais il a fallu attendre le mois de mars et la fin de la saison de chasse au sanglier pour pouvoir pénétrer, habillé comme un coureur et en courant, dans le terrain, pour y placer un carreau de céramique en guise de stèle commémorative.
J’ai trouvé, à l’intérieur même de l’ancien camp d’internement (dont il ne reste que des vestiges infimes) un endroit plat et assez visible à l’improbable visiteur, où la terre paraissait remuée de frais, et c’est là où, en mars 2018,  j’ai placé mon humble témoignage.”

Pour l’historique de ce geste,  un petit rappel :
“Comme on le sait, une stèle est la statue d’un lieu. Elle le constitue en point de repère de la mémoire historique, comme une épingle sur une carte d’état-major. […] Dans le terrain militaire des Garrigues (près du Mas de Massillan) existait déjà un camp, ouvert depuis janvier 1940 pour environ 200 « étrangers hostiles » (surtout allemands et autrichiens), et qui hébergeait déjà autant de républicains espagnols. Quelques kilomètres plus au nord, le long de la route départementale qui relie Nîmes à Uzès (dont le trajet a changé depuis) et à proximité d’une ferme désaffectée, existait un grand terrain plat. C’est là où arrivèrent, le 27 juin 1940, au bout de cinq jours d’un tragi-comique périple en train et après une marche à pieds de quinze kilomètres, environ 2000 détenus provenant du camp des Milles.”  (Camp Saint Nicolas, October 2016. Voir aussi : Une marche en garrigue, émission réalisée par D. Balay pour France Culture en septembre 2017).

En novembre 2022, le caractère exagérément confidentiel de cette intervention artistique, qui n’a connu qu’un seul acteur et témoin, me pousse à relire et réinterpréter les images que j’avais prises au moment de l’apposition de ma “stèle”.

Je vais imprimer sur film transparent et superposer ces photographies à des cartes d’état-majeur, des cartes de l’Istituto Geografico Militare italien dont je dispose grâce à la prévenance d’un ami fils de diplomate. On est bien là dans un terrain militaire, comme Feuchtwanger et les autres réfugiés allemands étaient en 1940. Par ailleurs, ces cartes italiennes remontent à la même époque. Je compte aussi imprimer sur papier calque des extraits du texte de l’écrivain allemand où il décrit sa marche dans la garrigue et son arrivée au Camp Saint Nicolas, et les superposer aux cartes IGM. Il me faudra encore un élément de couleur, propre à rehausser ou parfois à brouiller certaines parties des deux premières couches sémantiques. Je pense transférer, sur verre et en premier plan, les dates de la marche et de l’internement au Camp saint Nicolas, que je retrouve dans le journal de L.F. Comme un cachet de cire rouge et dans la langue originale, bien sûr.
En bon critique de moi-même, je me permets de rappeler que cette technique de travail par stratigraphie n’est pas sans faire écho à une pratique du “retour sur les lieux” : octobre 2016, septembre 2017, mars 2018, novembre 2022.

(Le livre de Feuchtwanger : Der Teufel in Frankreich. Erlebnisse, Berlin 2000 (1982). Traduction française : Le diable en France, Paris 1985 (Livre de Poche 2012). Première édition : Mexico 1942, sous le titre Unholdes Frankreich.

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Feuchtwanger 01, 2022, 30×40.
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Feuchtwanger 02, 2022, 30×40.
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Feuchtwanger 03, 2022, 30×40.
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Feuchtwanger 04, 2022, 30×40.
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Feuchtwanger 05, 2022, 30×40.
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Feuchtwanger 06, 2022, 30×40.

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Galatina giugno 1961 (2022-2023)

Questo è il grande giorno delle tarantate. Una volta l’anno esse scrollano il peso e il tormento del loro numero anonimo nella società e della privazione di diritti elementari, e possono recitare la loro disperazione davanti a una folla di spettatori.

I tarantati dicono di sentire la noia all’inizio del male, male che viene curato con le cadenze di una musica fortemente ritmata e continua, e con la danza della piccola taranta, la tarantella. Gli strumenti musicali di cura sono: violino, fisarmonica, tamburello. Il violinista fa il barbiere, il tamburellista è contadino, il suonatore di fisarmonica mette i morti sotto terra.

E il 28 giugno di ogni anno, sotto il sole, mentre i carri portano un suono cupo di solchi lacerati, di torrenti, pietra su pietra colore del fuoco, vanno le tarantate, e quelle che sono state liberate del male, nella cappella di San Paolo, con la speranza di ascoltare, dal forte labbro del Santo, una parola che annienti ogni forza malefica sulla croce di due pietre.


2022, Galatina 04, 20×30.

Giungono altre donne. La speranza di guarire si ripercuote sulla loro anima, ogni anno. Il morso, come il rimorso, è aspro da sottomettere.

Qui, il tarantismo comincia la sua morte. Interdetta dalla pietà cristiana, la musica la danza, disarticolata la disciplina del ritmo e della melodia, moltiplicate le possibilità di contagio di queste frane della psiche fra il formicolio delle ammalate, il tarantismo, nella cappella di San Paolo, è già nella sua parabola di crisi.

Quello che poteva sembrare oleografia o folklore entra ora nel campo della cura neurologica. Nell’evoluzione del mondo di oggi, quest’antica eredità del medioevo consuma ormai il suo ultimo tempo.

(Estratti dal commento di Salvatore Quasimodo per il documentario di Gianfranco Mingozzi, La Taranta (18′ 32”, 1962, musiche originali registrate da Diego Carpitella; fotografia di Ugo Piccone; consulenza di Ernesto de Martino).


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2022, Galatina 09, 20×30.
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La prima parte della scaletta presentata da Mingozzi, scrupolosamente rispettata da Quasimodo (da Gianfranco Mingozzi, La Taranta, Lecce 2009, p. 36).

* Per un’analisi del testo di Quasimodo vedi: Héloïse Moschetto, “Dall’esorcismo al trasumanar : le tarantolate di Salvatore Quasimodo”, Babel [web], 42, 2020.

** La scrittrice e fotografa Suzanne Doppelt si è ispirata al documentario di Mingozzi per il suo Meta donna (Paris, P.O.L, 2020).
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Il titolo di questi lavori è Galatina. Il formato è 20×30 cm. I quadretti sono numerati nell’ordine, da 01 a 09.
La tecnica: screenshot stampati in UV su celluloide, tasselli di puzzle dipinti all’acrilico, carta topografica ritagliata.
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Series completed June 28, 2022, at La Verrière, France.
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Work resumed in March 2023, with the addition of six new pieces:


2023, Galatina 10, 20×30.
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2023, Galatina 11, 20×30.
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2023, Galatina 12, 20×30.
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2023, Galatina 13, 20×30.
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2023, Galatina 14, 20×30.
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2023, Galatina 15, 20×30.

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Polyandrion (2022)

 

Je présente ici une réédition de la première d’une série d’estampes inspirées par le Songe de Poliphile (Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio, 1499) : From Cythera series C, 2018. Dans cette œuvre romanesque, les protagonistes Poliphile et Polia se retrouvent parmi les ruines du Polyandrion qui, d’après les exégètes modernes, pourrait se traduire par “le cimetière des morts d’amour”.

Le mot Polyandrion vient du grec ancien ; il désigne les sépultures collectives, notamment de guerriers morts au combat :
article ancient world magazine
article wikipedia
Je m’y intéresse aussi parce que j’ai repris récemment un travail sur les Étrusques et leurs pratiques funéraires : sp nemoz

Voir aussi, parmi les nombreux articles sur les canopes :
article enciclopedia treccani
article camminare nella storia

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Pour les représentations du Polyandrion dans le Poliphile, voir :
article persee
article cairn
article utpictura

 

PS :
Une photographie prise dans les mêmes circonstances que celle utilisée en fond de ce From Cythera C 01, mais avec un cadrage  différent, a servi pour une couverture de la revue La cause du désir (numéro 104, mars 2020). Le lieu representé est le “Temple de Diane” des Jardins de la Fontaine à Nîmes.

 

 

 

Der Reichstagssturm (2022)

A thesis on contemporary history.

I vuoti lasciati da un T-Rex dipinto di rosso fluorescente.
Gli Hostile Hopi che resistevano all’imperialismo americano, all’inizio del ventesimo secolo.
Un puzzle le cui tessere sono andate disperse. Un esperimento sull’andatura dei gibboni.
La presa del Reichstag da parte dell’Armata Rossa, in un ciclo pittorico celebrativo del Karlshorst Museum di Potsdam.

Les vides laissés par un T-Rex peint en rouge fluo.
Les Hostile Hopi qui résistent à l’impérialisme américain au début du 20e siècle.
Un puzzle dont les pièces ont été dispersées. Une expérience sur la démarche des gibbons.
La prise du Reichstag par l’Armée rouge, dans un cycle de peintures commémoratives au Karlshorst Museum de Potsdam.

The gaps left by a T-Rex painted in fluorescent red.
The Hostile Hopi resisting American imperialism, early 20th century.
A puzzle whose pieces have been scattered. An experiment on the gait of gibbons.
The taking of the Reichstag by the Red Army, in a commemorative painting cycle at the Karlshorst Museum in Potsdam.


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Der Reichstagssturm 01, 2022, 22,5×30.
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Der Reichstagssturm 02, 2022, 22,5×30.

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Bello! Opere nuove? C’è spiegone?
SC

Ah no, òpiri d’arti sunnu!
Lo spiegone è che la Storia è complessa e confusa.
Comunque il tirannosauro a pezzi è l’impero sovietico, o forse anche il puzzle.
Il tentativo di rimettere insieme i pezzi si urta alla resistenza degli Hopi, oppure a quelle dei gibboni, che non vogliono stare al gioco.
E la visione della storia è imbrogliata da ogni elemento successivo, come un’archeologia all’incontrario.
E alla fine non ci si capisce niente ma forse c’è un bell’effetto pirotecnico.
SP

Ruins in the Forest. Series A (2016-2017)


RnF A 01, 2016, 30×40.
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RnF A 02, 2016, 30×40.
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RnF A 03, 2016, 30×40.
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RnF A 04, 2016, 30×40.
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RnF A 05, 2016, 30×40.
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RnF A 06, 2016, 30×40.
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RnF A 07, 2016, 30×40.
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RnF A 08, 2016, 30×40.
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RnF A 09, 2016, 30×40.
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RnF A 10, 2016, 30×40.
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Spuglia lettre 1

Spuglia lettre 2

 

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NEMOZ, livre d’artiste. (2022)


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NEMOZ est le nom, prélatin et même préceltique, * du site où surgit la ville de Nîmes, anciennement Nemausus. Étant romain de naissance, et ayant l’opportunité de séjourner régulièrement dans la “Rome française”, je m’y sens comme “chez moi”, et j’ai souhaité apporter mon humble contribution à une iconographie de la capitale du Gard.

Ainsi qu’un nom préromain, qui résonne bien à mes oreilles, ** j’ai choisi pour mes illustrations des sources préromaines : des productions plastiques des Étrusques, le peuple qui a tout appris aux Romains, sauf l’art de la guerre.

J’ai utilisé comme support un guide de Nîmes et du Gard de 1935, peut-être un objet de collection en soi. J’y ai apposé, à l’encre rouge Lumen 26, des “reprises” d’images qui me tiennent à cœur : des photographies de canopes (urnes funéraires grossièrement anthropomorphiques). Ces vases viennent surtout de la ville de Chiusi (Toscane méridionale), bien qu’on en trouve aussi un peu plus au nord (Arezzo). Ils datent du VIIe-VIe siècle av. J.-C. ***

Quelqu’un remarquera peut-être que mes citations de l’imagerie tuscanique présentent des profils pas très « philologiques », un peu trop proéminents, à l’instar d’un célèbre personnage littéraire, lui aussi issu des terres d’Étrurie. C’est une petite boutade que je me suis autorisé.

 

* Certains citent, toutefois, un mot celte nemoz (forêt), d’autres un nemeton, qui “désigne le temple utilisé par les Gaulois à l’époque de leur indépendance” (https://fr.wikipedia.org/wiki/Religion_gauloise).

** Le latin nemo (ne hemo, “pas-homme”) pourrait donner en français personne, si ce n’est que personne vient du latin persona, qui à son tour vient de l’étrusque phersu : masque.

*** Les canopes qui ont servis de modèle à mes fictions sont exposés actuellement au Musée de la Romanité de Nîmes (Étrusques, une civilisation de la Méditerranée, du 15 avril au 23 octobre 2022).
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Dimensions des images : 24×34 cm.
Travail achevé le 17 mai 2022.
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Documents annexes :


SP, Phersu, 1986, 60x25x30, égaré (exposé à Masques d’artistes, La Malmaison, Cannes 1987).
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Le personnage de Phersu, tombe des Augures, nécropole de Monterozzi, Tarquinia, VIe siècle av. J.-C.

 

 

 

Oiseaux de Carême (Birds of Lent) 2022


Au moment où je peins ces poissons en prise de bec avec eux-mêmes, ces grotesques ichtyologiques sur fond de planches ornithologiques allemandes, on est en pleine période de Carême (la période liturgique qui débute quarante jours avant la Résurrection).

Je reprends, deux ans après, des dessins de Carême  exécutés  pendant le printemps 2020, période où, comme on le sait, on était dans la pénitence  et l’on ne pouvait consommer de viande (mais du poisson, ça oui).

Oiseaux de Carême : le juste titre me vient d’un vers de Thomas Lago (“envoie tes oiseaux de malheur…”) pour une chanson des Kat Onoma de l’année 1987 je crois (Cupid). En italien cela donnerait : uccelli di malaugurio, uccelli di Quaresima, qui résonne avec Quarantena.

Des oiseaux de proie (Raubvögel), ainsi que des oiseaux aquatiques, issus d’un recueil zoologique déniché par mon amie Margaret dans un marché aux puces du Starnbergersee, dans les années 90, et réduit par moi à l’état d’arête à force d’en arracher les pages.

Un dessin à la main libre et à la mémoire courte, à l’acrylique rouge, en une maladroite imitation du peintre oriental, ivre de jeûne et d’abstinence.

 


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Birds of Lent 01, 2022, 33×42.
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Birds of Lent 02, 2022, 33×42.
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Birds of Lent 03, 2022, 33×42.
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Birds of Lent 04, 2022, 33×42.

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Birds of Lent 05, 2022, 33×42.

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Birds of Lent 06, 2022, 33×42.