Monstrum nostrum, 2023-2024.

“C’è un grido di dolore che più di tutti risuona e che sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum; il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità. È il grido soffocato dei fratelli e delle sorelle migranti”.

Dal discorso del papa alla sessione finale degli incontri del Mediterraneo, Palais du Pharo, Marsiglia, 23 settembre 2023 (il testo integrale: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/september/documents/20230923-marsiglia-rencontres-mediterraneennes.html).

Le texte intégral du discours du pape:
https://www.la-croix.com/religion/Discours-pape-Pharo-texte-integral-2023-09-23-1201283980.

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Nuovi mostri 04, Sète-Elephas Marinus, 2023, 30×40.
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Nuovi mostri 05, Mèze-Draco marinus, 2023, 30×40.
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Histoire des monstres 19, Maguelone-humana facie, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 20, Rosignano Solvay-Sus marinus, 24×42, 2024.
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Histoire des monstres 21, La Spezia Fincantieri-Niliaca parei, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 22, Marinella di Sarzana-Vituli marini, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 23, San Terenzio-Rosmarus bellua, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 24, Nisida-Orobonis Piscis, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 25, La Bufalara-Aper Marinus, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 27, Finistère-Orca Balaenam, 2024, 24×42.
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Histoire des monstres 31, Arles-Cetus capillatus, 2024,24×42.
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Histoire des monstres 32, Aigues Mortes-Monstrosus Cyprinus, 2024, 24×42.
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Ceramic writings (2003-2024)

Spuglia ceramics are produced in friendly collaboration with Vietriscotto, a traditional ceramic workshop operating on Italy’s Amalfi Coast (at Vietri sul Mare) since 1952.
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2024, Canopiocchi su ceramica, 15×10 cm.
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2024, Ur-scritture, 10×20 cm.
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“Bestiaire” 21 cm, without border.
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“Bestiaire” 21 cm with border.
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Ceramic writings 26 cm.
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See also the relatively recent: Dessins de Carême 2020 (for “wave” plates).

Please send inquiries and order to contact[at]salvatorepuglia.info.

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Ceramic 2003-2023:

 


Voi ch’ascoltate…, 2003 (the very first one).
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Spuglia Philosophie 01
La philosophie dans le boudoir
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Spuglia Vedo rosso a

Spuglia Vedo rosso b
Vedo rosso (collection Lo Giudice-Mitrofanoff)
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Spuglia-tavolo-croceverde
Tavolino croce verde
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tavolo-martini
Tavolino Martini
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tavolo-rossonero
Table Rouge et Noir
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cher-papa-et

bagno-ercadi
Bagno Ercadi
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Spuglia-bagno-Donnini-Occhiuzzi1
Bagno Occhiuzzi-Donnini
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assiettes-de-trimardeur
Assiettes trimardeurs
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zoccoli-trimardeur1
Carreaux trimardeurs

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Piatti Inuit 2015Plates drum songs
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Table-dressée-2016
Assiettes Heidsieck
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Carreaux à plinthe

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spuglia-zoccoli-scrittiZoccoli verderamino
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Spuglia piatto onda Ginestra
Piatto “onda” La ginestra

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Plat de Carême

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Sushi 13×26
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Mattonelle per Aula magna Università per stranieri di Siena.
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La philosophie dans le boudoir

Vietri sul Mare est une petite ville de cinq ou six-mille habitants, perchée à l’extrémité du golfe de Salerne, à cinquante kilomètres au sud de Naples.
Depuis l’antiquité, grâce à un courant longeant les côtes du nord au sud, qui amenait naturellement ses bateaux vers la Sicile, les entrepreneurs de Vietri ont pu exporter la vaisselle faite avec la glaise des inépuisables carrières qui se trouvent à l’intérieur de ses terres.
Aujourd’hui encore la fabrication artisanale de la céramique est son activité principale. Dans les rues et les places de cette ville tout ce qui est signe est fait de ce matériau: façades, enseignes, pancartes, vases et animaux en faïence donnent à Vietri un aspect d’entrepôt de pacotille peinte à ciel ouvert.
Si on a des amis là-bas, on peut être introduit dans l’un de ces laboratoires artisanaux, pour y faire ses propres carrelages. On vous donne un tabouret au milieu des ouvriers, on vous confie un pot de la couleur que vous aurez choisi, un bleu de Delft par exemple, et on place à coté de vous une palette de carreaux prêts à être émaillés.
Sous le regard des ouvriers, curieux de voir ce que vous savez faire, vous aurez à décider comment couvrir de signes ces dalles. Vous avez décidé de jouer une parodie de l’art populaire, avec ses desseins «bien faits», ses dictons écrits en belle calligraphie. Vous avez décidé de mettre un texte philosophique sur ces surfaces, bien que ce ne soit pas la surface naturelle pour un tel travail de transcription. Vous sortez un livre de votre poche, un livre en langue étrangère, parce que vous n’avez pas envie que soit lisible ce que vous écrivez. Vous vous mettez à l’œuvre, d’une main maladroite qui ne vous obéit pas. Le pinceau va là où il veut, vous le laissez faire, cela peut vous convenir que de rédiger en mauvaise écriture un beau texte. On s’approche de vous et on vous fait gentiment remarquer que vous n’utilisez pas le bon pinceau. Mais, même avec le bon, vous en mettez partout. Au bout de quelques heures, les gens sont fatigués de se laisser amuser par vous et comprennent qu’il n’y a rien à faire, ils vous laissent tranquille. Vous en êtes à la troisième page de la philosophie dans le boudoir et au cinquantième carreau, vous n’en pouvez plus, maintenant votre main est libre vraiment et elle écrit ce qu’elle veut, et la journée de travail est bientôt finie.

La filosofia nel boudoir

Vietri sul Mare è una cittadina di quattro o cinquemila abitanti, incastonata su un promontorio erto, all’imbocco della costiera amalfitana.

Fin dai tempi preistorici, grazie a una corrente che scende lungo la costa tirrenica, da nord a sud, e che porta le imbarcazioni verso la Sicilia, i commercianti vietresi potevano esportare il vasellame prodotto con l’argilla scavata a Ogliara, una frazione di Salerno.

Ancora oggi la fabbricazione artigianale e semi-industriale di terraglie e di maioliche è l’attività principale di questa amena località campana. E Vietri ha sempre attirato artisti vagabondi, cui ha offerto possibilità di lavoro e ospitalità. Lo stile stesso della ceramica vietrese, il segno un po’ naif un po’ sincretico che la fa riconoscere immediatamente, è il risultato dell’incontro, negli anni ’20, fra pittori tedeschi di ispirazione modernista e artigiani locali dalle provate capacità.

Tutto ciò che è segno, nelle strade e nelle piazze di Vietri, è in ceramica dipinta: i rivestimenti delle facciate, le insegne dei negozi, i cartelli stradali. I balconi riempiti di vasi, di statuette e di varia animalia, così come le cupole delle chiese coperte di piastrelle verdi e gialle, contribuiscono a fare di questa località un gaio trionfo dell’horror vacui fittile.

Se si ha la fortuna di avere amici che vivono nella cittadina, si può essere accompagnati in un laboratorio ed essere presentati al mastro. Si cerca di spiegare cosa si intende fare. Ma è un amico che vi ha portato, non c’è bisogno di grandi discorsi: vi si prepara il vostro posto, vi si sistema uno sgabello davanti a un tornio, vi si procura una ciotola del colore che avrete scelto, un blu di Delft, per esempio, a imitazione degli azulejos, che a loro volta imitavano la porcellana importata dalla Cina. A lato del vostro sgabello viene sistemato un carrello di piastrelle smaltate, pronte per essere dipinte.

Sotto lo sguardo curioso degli operai, che si chiedono di quali abilità darete prova, vi troverete nella situazione di decidere rapidamente in che maniera coprire di segni queste mattonelle. Avrete deciso di eseguire una parodia di arte popolare, con le sue figurazioni precise e ripetitive, con i suoi proverbi scritti in bella calligrafia. Avrete deciso di apporre a queste superfici un testo filosofico, pur sapendo che quella non è la superficie destinata a ricevere una tale fatica di amanuense. Tirate un libro fuori della tasca, un testo misto di metafisica e di oscenità, un libro scritto in una lingua straniera: non avete voglia che ciò che trascrivete sia leggibile.

Vi mettete all’opra, con una mano malabile che non vi obbedisce. Il pennello va lì dove vuole; lo lasciate fare; in fondo vi conviene, questa redazione in brutta copia di un bel testo. Infine i vostri vicini non ne possono più di vedervi soffrire; ce n’è uno che si alza dal suo posto e viene a dirvi – gentilmente – che non state usando il buon pennello, che quello lì è il pennello sbagliato. Cambiate strumento, ma anche quello buono va lì dove vuole lui. Dopo qualche ora si sono finalmente stancati di divertirsi alle vostre spalle e capiscono che non c’è niente da fare; vi lasciano tranquillo. Siete arrivati alla terza pagina della filosofia nel boudoir, avete calligrafato cinquanta mattonelle e non ne potete più, è adesso che la vostra mano è libera davvero e scrive ciò che vuole, è presto finita la giornata lavorativa, e il bello è là da venire.

Vietri sul Mare, 2003

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Millenovecento (2018-2024)

Below are works from a new series on the Ex voto theme, featuring red fluorescent shapes painted on paper documents. The subject is, plainly, “my” XXth Century. The Ex voto series was created and exhibited from 2004 to 2006. This new series is photography based: a black and white image printed directly on glass is superimposed on a “re-painted” found paper.
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2017 Civiltà romana 06 30x30

2019 Ara Poliphili 02 20x30

 

2019 Cranial nerves 02 30x40

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Millenovecento, installation in progress (120×160 cm), October 2019:
Millenovecento parziale

Nella mia installazione del 2006, Ex voto, intervenivo con forme di colore sui miei propri disegni, così come su documenti originali trovati negli archivi e nei mercatini di quartiere. Il riferimento evidente di questo lavoro erano i tanti muri delle chiese italiane coperti di quadretti o di formelle di parti del corpo in argento. Nel mio caso, non si trattava tanto di rendere grazie a un salvatore intervento divino, quanto di presentare una parodia laica di questi memoriali.

La struttura a mosaico (o a « quadreria ») dell’installazione affermava che ogni pezzo, pur essendo unico e insostituibile, non poteva avere senso se non nel contesto di quelli che lo circondavano. La cornice di piombo, che costruivo nel concepire l’immagine, costituiva un tutt’uno con l‘immagine presentata.

Una dozzina di anni dopo il compimento di quel lavoro, ne presento una “ripresa”, a base fotografica stavolta. E stavolta l’installazione è più decisamente orientata sulla storia, la nostra comune storia intrecciata alla mia biografia. In questo senso “storicizzo” me stesso in quanto uomo che ha vissuto la maggior parte della sua vita nel secolo passato.

Non c’è una gerarchia delle immagini né per pregnanza né per qualità. A buone stampe analogiche di mie foto accosto ritagli di giornale, fotocopie, fotografie da archivi privati. A volte l’immagine è riprodotta su vetro e sovrapposta a documenti cartacei, altre volte è la fotografia su carta che fa da sfondo a un testo o a un grafico riprodotto su vetro.

Ogni volta è presente un passaggio di colore, un rosso luminescente, che crea uno sfalsamento della visione e che è, a tutt’oggi, un po’ la mia firma.

Quest’installazione di un centinaio di pezzi sarà doppiamente storica: difatti debbo interrompere il mio ventennale stile di lavoro. La ditta UCIC di Asti è recentemente fallita, ventiquattro fra suoi ventisei addetti si trovano in disoccupazione, e né io né i miei amici italiani riusciamo più a trovare, in qualche fondo di magazzino, l’insostituibile Lumen Rosso 26.

2019 Z Lumen


Millenovecento, full installation, March 2021.
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The installation at the Gallery Sit down, Paris, October 2020-January 2021.


At the Gallery Troisième oeil, Bordeaux, March-May 2021.
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Here’s the artist’s comment on each piece:
Millenovecento 01-120 and Millenovecento 121-156.

In my 2006 installation, “Ex-voto“, I intervened with color shapes on my drawings, as well as on original documents found in the archives and in the neighborhood markets. The clear reference of this work were the walls of the Italian churches covered with small squares or panels of silver body parts. In my case, it was not so much a matter of giving thanks to a savior divine intervention, but of presenting a secular onthese memorials. The mosaic structura of the installation states that each piece, unique and irreplaceable, could not have meaning except in the context of those around it. The lead frame, which I built in conceiving the image, was one with the image presented. A dozen years after the completion of this work, I present a «shot», based on photography. This time the installation is more decidedly history-oriented, our common history intertwined with my biography. In this sense, I «historicize» myself as a man who lived most of his life in the past century. There is no hierarchy of images neither by the subtance nor by the quality. A good analogue prints of my photos alongside newspaper clippings, photocopies, photographs from private archives. Sometimes the image is reproduced on glass and superimposed on paper documents, other times it is the photograph on paper that is the background of a text or a graphic reproduced on glass. Each time there is a color change, a luminscent red, which creates an offset and which is, to date my signature.

Here a reminder of the
Ex voto installation, 2006 (200×350 cm):

Déjà, Espace Commines, Paris

DSCN0277

2006 Ex voto 01

Déjà 01

Déjà 02

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Histoire des monstres (2021-2024)

C’est dans l’attente d’un endormissement qui ne venait pas, en feuilletant un livre illustré sur les Océans qui appartient à mon fils ainé, que je suis tombé, ou plutôt retombé, sur certaines gravures anciennes reproduisant des monstres de la mer.

Il faut dire que mon cerveau devait être dans une recherche subliminale d’images cauchemardesques, puisque les deux autres livres qui gisaient près du lit étaient Monstros du philosophe portugais José Gil (Lisboa 1994) et les Métamorphoses d’Emanuele Coccia (Paris 2020) .

J’ai donc recherché et repris en main les bestiaires de Ulisse Aldrovandi, médecin et philosophe bolognais (1522-1605), l’un des inventeurs de l’histoire naturelle. La source d’un nouveau travail était trouvée.

Pour reproduire les planches de la Monstrorum Historia j’ai utilisé un exemplaire qui, publié à Bologne en 1642, portait déjà en 1643 le cachet de la Chartreuse de Villeneuve lès Avignon. Cet exemplaire, sans doute à la suite des réquisitions révolutionnaires, se trouve aujourd’hui à la bibliothèque du Carré d’art de Nîmes.

Parmi toutes les créatures monstrueuses répertoriées par Aldrovandi (rarement par observation directe), j’ai choisi les animaux marins. Ils me paraissent plus appropriés à s’adapter aux habitats que je leur ai imposés de manière tyrannique.

Cette nouvelle série présentera par conséquent en toile de fond la reproduction d’une gravure d’Aldrovandi, sur laquelle une photographie de paysage sera posée en transparence. Il y aura un élément textuel aussi qui, sans avoir de relation directe avec l’une ou l’autre image, sera comme la couture qui reliera les deux autres couches : comme des marginalia adjoints dans le courant de la lecture. Il s’agira de citations des auteurs que j’ai lus en m’attablant à ce travail : je les transcrirai à l’encre de Chine.
(13 décembre 2021)

Histoire des monstres 00, Poggio Rota, 30×30, completed December 13.
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Histoire des monstres 01, Fiora, 24×42, completed December 15.
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Histoire des monstres 02, Lagos, 24×42, completed December 16.
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Histoire des monstres 03, Rofalco, 24×42, completed December 17.
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Histoire des monstres 04, Morgantina, 24×42, completed Decembre 19.
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Histoire des monstres 05, Castro, 24×42, completed December 20.
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Histoire des monstres 06, Brignogan-Plage, 24×42, completed December 22.
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Histoire des monstres 07, Fratenuti, 24×42, completed December 24.
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Histoire des monstres 08, Batz, 24×42, completed December 25.
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Histoire des monstres 09, Fosso bianco, 24×42, completed December 26.
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Histoire des monstres 10, Balena bianca, 24×42, completed December 27.
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Histoire des monstres 11, Camp de César, 24×42, completed December 28.
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Histoire des monstres 12, Ponte san Pietro, 24×42, completed December 29.
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History of the monsters

Waiting unsuccessfully to fall asleep one evening, I was leafing through an illustrated book on the oceans that belongs to my eldest son, when I encountered, or rather re-encountered, some old engravings depicting sea monsters.

I must say that my brain must have been engaged in a subliminal search for nightmarish images, since the two other books that were lying near the bed were Monstros by the Portuguese philosopher, José Gil (Lisbon, 1994) and Metamorphoses by Emanuele Coccia (Paris, 2020).

So I searched for and consulted the bestiaries of Ulisse Aldrovandi, a noted physician and philosopher from Bologna (1522-1605), who is considered one of the fathers of natural history studies. This became the source of a new artistic project.

To reproduce the plates of the Monstrorum Historia, I used a version that was published in Bologna in 1642, and bore the stamp of the Charterhouse of Villeneuve lès Avignon in 1643. This publication is now preserved in the library of the Carré d’art in Nîmes, probably as a result of requisitions undertaken during the French Revolution.

Among all the monstrous creatures listed by Aldrovandi (he rarely observed them directly), I chose marine animals because they seem to me best adapted to the habitats that I tyrannically imposed on them.

This new series will therefore feature a reproduction of an Aldrovandi engraving as a backdrop, on which a transparent landscape photograph will be placed. I will also add some texts which, without being directly related to either image, will serve as the thread connecting the other two layers: like marginal notes added while reading a text. They will be quotations, transcribed in Chinese ink, from the authors who have read while approaching this latest work.

(December 13 2021)

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I have used also:

J. Baltrusaitis, Le moyen âge fantastique, Paris 1955
G. Lascault, Le Monstre Dans l’Art Occidental, Paris 1973
C. Kappler, Monstres, démons et merveilles à la fin du Moyen Age, Paris 1980
M. Guédron, Les monstres, Paris 2018

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Monstres sur le retour 2024:

Histoire des monstres 19, Maguelone, 24×42.
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Histoire des monstres 20, Rosignano Solvay, 24×42.
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Histoire des monstres 21, La Spezia, 24×42.
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Histoire des monstres 22, Marinella di Sarzana, 24×42.
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Histoire des monstres 23, San Terenzo, 24×42.
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Histoire des monstres 24, Nisida, 24×42.
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Histoire des monstres 25, La Bufalara, 24×42.
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Palestine Broadcasting Service, 2024.

Le premier volet d’une trilogie, Palestine Broadcasting Service, qui reprend des images d’archives de la radio de la Palestine sous mandat britannique (1936-1948). L’instantané d’une société entrevue en un de ces moments d’interrègne où le possible reste ouvert, entre deux catastrophes historiques. La source de ce premier travail est l’image reproduite dans l’ouvrage capital d’Elias Sanbar Les Palestiniens : La photographie d’une terre et de son peuple de 1839 à nos jours (Paris 2004, p. 272), qui porte la légende ‘’L’orchestre de la radio palestinienne (anonyme, vers 1940)’’.

À la photographie extraite du livre de Sanbar j’ai associé trois autres éléments : une écriture automatique au crayon gras, à même la photo imprimée de l’orchestre, qui pourrait être de l’hébreu ou de l’arabe ou du grec et qui ne répète qu’un seul mot ; ensuite, la reproduction de la une du Palestine Post du 31 mars 1936, relatant l’inauguration de la nouvelle radio d’état et sa grille de programmation proportionnelle à la démographie du territoire ; enfin, l’estampe, repeinte à l’acrylique rouge fluorescent, d’un des monstres d’Ulisse Aldrovandi (Historia monstrorum, Bononia 1642, le ”Monstrum marinum Daemoniforme”.

J’ai utilisé, pour les quatre autres versions que je montre dans cet article, les gravures d’Aldrovandi qui portent les titres ”Monstrum Marinum humana facie”, ”Andura piscis aspectu suillo”, ”Monstrua Niliaca Parei”, et ”Equus marinus monstrosus”. Les deux dernières présentent aussi deux illustrations reprises du Combat d’amour en songe de Francesco Colonna (Hypnerotomachia Poliphili, Venetiis : in ædibus Aldi Manutii, accuratissime, mense decembri 1499).

PBS 01 A, 26×42, 2024.
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PBS 01 B, 26×42, 2024.
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PBS 01 C, 26×42, 2024.
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PBS 01 E, 26×42, 2024.
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PBS 01 F, 26×42, 2024.
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Voir aussi :

https://fr.wikipedia.org/wiki/Palestine_Broadcasting_Service
https://www.rfi.fr/en/middle-east/20190329-power-radio-during-british-mandated-palestine (d’où j’ai repris les autres photos).
https://www.palestine-studies.org/en/node/78483 (Andrea L. Stanton, This is Jerusalem Calling: State Radio in Mandate Palestine, University of Texas Press, 2012).
Jerusalem interrupted: modernity and colonial transformation 1917-present, ed. Lena Jayyusi, Northampton, MA: Olive Branch Press, 2010.

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Et, pour le concert d’Arturo Toscanini à Tel Aviv, devant le pavillon italien de la Foire du Levant, le 26 décembre 1936 :

Source : https://www.youtube.com/watch?v=aa1glU9ms40&t=3s (un court extrait de la symphonie n° 8 de Schubert, “l’inachevée”). Aussi, sur ce séjour du chef d’orchestre italien : Toscanini en Palestine (mais celle-ci est une autre histoire, bien sûr).

 

Fenomeni morbosi ter 02, 24×42, 2023.

 


Ce dernier travail de la série Fenomeni morbosi svariati en est une synthèse. J’ai condensé en un tableau tous les éléments qui constituaient  le triptyque, à l’exception des grillons de Baltrusaitis qui étaient ici superflus.
La série comprenait trois reproductions de scènes du Miracle de l’hostie consacrée de Paolo Uccello (Galerie nationale des Marches d’Urbino), sur les six qui composent la prédelle, en transparence sur des fonds provenant d’archives historiques italiennes, en particulier le Casellario Politico Centrale conservé à l’Archivio Centrale dello Stato à Rome.
Les fonds étaient : la transcription manuelle d’une lettre saisie à un détenu des prisons fascistes en 1929, que j’ai transcrite en 1979, quand je fréquentais quotidiennement les Archives pour mes recherches sur le mouvement ouvrier romain ; la photo signalétique d’Antonio Gramsci de janvier 1935, que j’ai transformée sur Photoshop en un logo à la Che Guevara ; la reproduction de la première page de l’index informatisé du Casellario, sous l’intitulé “Prisonniers politiques” ; un autre élément d’arrière-plan était la reproduction d’un panneau du Moyen Âge fantastique de Jurgis Baltrusaitis, ouvrage que j’ai acquis en 1979 comme documentation pour mon étude du panneau de Paolo Uccello, étude que je n’ai finalement jamais achevée.
En ce qui concerne le premier plan de mon triptyque : je suis bien conscient d’avoir parasité la beauté de la peinture d’Urbino, c’est d’ailleurs ce qui à l’époque m’avait poussé à l’étudier et à y entrer ainsi d’une manière moins intrusive qu’aujourd’hui.

La prédelle de Paolo Uccello, exécutée en 1467-1469 sur la commande de la confrérie du Corpus Domini, s’inscrivait dans un programme de création des Monts de Piété, ainsi que d’affirmation du récent dogme de la transsubstantiation, qui nécessitait des représentations fortement antisémites (voir, entre autres, les essais de Marilyn Aronberg Lavin (1967) et de Jean-Louis Schefer (2007).

Dans ce travail de synthèse j’ai reproduit sans la modifier la photo signalétique de Gramsci et j’ai transcrit au pastel gras le message de l’antifasciste romain, respectant ses fautes de grammaire : ‘’Nous autres les camarades nous sommes tous isolés nous attendons le moment qu’un peu de lumière nous soit éclairée que maintenant nous vivons dans les ténèbres’’.

Dans l’imagerie des ténèbres et de la lumière, je ne peux ne pas penser aux persécutions religieuses. Aussi, je suis touché par l’expression, pourtant banale, ”noialtri” employée par le camarade Candido de Manziana. Curieusement, les traducteurs automatiques donnent, en français, ” le reste d’entre nous”. Peut-être, par un aléa informatique, y retrouve-t-on quelque vérité : ‘’ce qui reste de nous’’ dans un temps de ténèbres. Mais je me plais à le traduire, en forçant un peu bien sûr : ”nous les autres”, les autres en nous.

Je dis ailleurs (‘’I mostri di Gramsci’’) comment, plutôt que dans un ‘’entre nous’’, je pourrais peut-être envisager de me reconnaître dans une ‘’humanité commune’’, à laquelle font appel La Cimade et Edwy Plenel, au lendemain de l’adoption par l’assemblée nationale d’une loi contre l’immigration qui sera une date historique (19 décembre 2023).

La scène de Paolo Uccello ici reproduite est la deuxième, celle où l’usurier juif, qui s’acharne sur le corps du Christ, est découvert et arrêté par les milices de la ville.

Fenomeni morbosi ter 02, 24×42, 2023.

L’espace entre ténèbres et lumière de l’Histoire, ce n’est malheureusement pas l’interrègne entre vieux et nouveau monde dont parle Gramsci (le ‘’clair-obscur’’ d’une anonyme traduction française). Et les ‘’phénomènes morbides’’ n’ont pas à surgir puisqu’ils sont déjà entre nous et en nous. Mais on ne peut pas s’abstenir d’en appeler à ‘’un peu de lumière’’, un peu de raison. Juste un peu.

Note. La phrase originale de Candido : ‘’Noialtri compagni semo tutti isolati aspettiamo il momento che ci venga rischiarata un pò di luce che ora vivemo nelle tenebre’’.

Les réflexions qui ont amené à ce travail :
I mostri di Gramsci
et le triptyque qui en est dérivé :
Fenomeni morbosi svariati

 

Fenomeni morbosi svariati (Anni Settanta, cinque)

Un quinto trittico sulla tematica degli anni Settanta.

Questa serie include: tre riproduzioni di scene del Miracolo dell’ostia consacrata di Paolo Uccello (1467-1468), sulle sei che comprende la tavola, in trasparenza su tre fondi derivati dagli archivi storici italiani, in particolare il Casellario Politico Centrale conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma.
I tre fondi: una trascrizione manuale della lettera sequestrata a un detenuto nelle carceri fasciste nel 1929 (negli anni 1977-1980 frequentavo quotidianamente l’Archivio per le mie ricerche sul movimento bracciantile di inizio secolo); la foto segnaletica di Antonio Gramsci del gennaio 1935, che ho trasformato su Photoshop a farne un logo alla Che Guevara; la riproduzione della prima pagina dell’indice informatico del Casellario, alla voce: ”detenuti politici”; il terzo elemento di fondo è la riproduzione di una tavola da Il Medioevo fantastico di Jurgis Baltrusaitis, che acquisii nel 1979 come documentazione per il mio studio della predella di Urbino (studio che divenne una tesi di specializzazione in storia che non ho mai presentato e che peraltro ho smarrito).
Quanto al primo piano del quadro: sono ben cosciente di aver parassitato la bellezza della predella di Urbino, che è del resto ciò che mi spinse a studiarla, quarant’anni fa, per potervi entrare dentro in un modo forse meno intrusivo di quello odierno.

Il titolo del trittico è estratto dalla celebre frase di Gramsci dai Quaderni del Carcere, ‘’La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati’ (Quaderno 3, XX, § 24).
L’interregno, nel mio lavoro che da tempo funziona come una stratigrafia al negativo (”per forza di porre” invece che ”per via di levare”), è semplicemente, un’altra, traslucida, dimensione.

Per la genesi di questa serie, vedi: http://salvatorepuglia.info/2023/12/i-mostri-di-gramsci-2023/.

Le fonti sono queste:

La foto segnaletica di Antonio Gramsci.
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La prima pagina dell’indice informatico del Casellario Politico Centrale, voce ”detenuto politico”.
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La trascrizione manuale di una lettera sequestrata a un antifascista detenuto, 1929.
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La riproduzione di due tavole da Il Medioevo fantastico di Jurgis Baltrusaitis, Milano 1979.
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Fenomeni morbosi svariati 01, 24×42, 2023.
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Fenomeni morbosi svariati 02, 24×42, 2023.
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Fenomeni morbosi svariati 03, 24×42, 2023.
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Note pour le lecteur francophone : pour un travail de synthèse de cette série, voir Fenomeni morbosi ter 02.

 

I mostri di Gramsci, 2023.

Ogni volta che ho cercato me stesso, ho trovato gli altri.
Ogni volta che li ho cercati, in loro non ho trovato
che me stesso straniero.
Che io sia il singolo-moltitudine?

Da: Mahmud Darwish, Murale, Milano 2005, traduzione dall’arabo di Fawzi al-Delmi.
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La frase di Gramsci, scritta nel carcere di Turi nel 1930 (fra il crack di Wall Street dell’ottobre del ’29 e l’affermazione del nazismo e dello stalinismo), ‘’La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati’’ diviene “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”, sui manifesti verdi e rossi comparsi per le vie di Roma nel dicembre 2018.

Il cambiamento lessicale è stato operato dall’artista cileno Alfredo Jaar, il quale, per una sua installazione sui pannelli di affissione pubblica del Comune di Roma, ha utilizzato una traduzione italiana della traduzione francese di Gramsci, la quale recita: ’Le vieux monde se meurt, le nouveau monde tarde à apparaître et dans ce clair-obscur surgissent les monstres’’ (vedi la sua intervista a Artribune :
https://www.artribune.com/arti-visive/street-urban-art/2018/12/cosa-significano-quei-manifesti-su-gramsci-che-hanno-invaso-roma/).
”La dichiarazione che ho usato per il mio intervento pubblico a Roma è una riflessione perfetta su quello che penso stia accadendo oggi in Italia”, dichiara ad Artribune l’artista Alfredo Jaar. “La frase originale di Gramsci era la seguente: La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati. Questa dichiarazione è stata tradotta in molte lingue e la mia versione preferita era in francese: Le vieux monde se meurt, le nouveau monde tarde à apparaître et dans ce clair-obscur surgissent les monstres. Poi per caso, ho scoperto una versione italiana, traduzione di quella francese, che mi è piaciuta moltissimo perché al posto della parola interregno usa chiaroscuro, e al posto di i fenomeni morbosi più svariati usa mostri. Ho usato questa traduzione perché la trovo potente e poetica allo stesso tempo”. E così l’artista cileno ha realizzato manifesti verdi e rossi con caratteri in bianco che recitano: Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri, una citazione della prima metà del Novecento, ma purtroppo sempre attuale. “A certi studiosi di Gramsci potrebbe non piacere, ma come artista mi sono preso la licenza poetica di usarla” afferma Jaar. “In un certo senso, si è trattato di un pretesto per portare la voce e le idee di Gramsci nell’Italia di oggi, perché sento che è necessario più che mai.” (…)

Questa stessa traduzione francese che ha ispirato la versione di Jaar era stata ripresa da Edwy Plenel nel suo Dire non (Don Quichotte éditions, Paris 2014, pp. 17-18). Plenel è ben consapevole di avere scelto una versione poetica, che non tradisce però il senso originario della citazione gramsciana: ‘Il est des alarmes que leur pertinence transforme en sentences proverbiales, bien loin de leur contexte historique. Au risque, parfois, d’une perte d’intensité, où s’affadit l’inquiétude première. Ainsi de cette réflexion d’Antonio Gramsci dans ses Cahiers de prison sur la crise comme conflit entre un vieux monde en train de mourir et un nouveau monde pas encore né. ‘’La crise consiste justement dans le fait que l’ancien meurt et que le nouveau ne peut pas naître’’, écrit précisément, en 1930, le communiste italien, emprisonné par le fascisme jusqu’à sa mort en 1937. Or on occulte trop souvent la phrase qui suit, où gît l’essentiel : « Pendant cet interrègne, on observe les phénomènes morbides les plus variés ». Essentiel sur lequel, en revanche, insiste, non sans bonheur, une variante poétique, souvent citée bien que littéralement infidèle au texte original italien : « Le vieux monde se meurt, le nouveau tarde à apparaître et, dans ce clair-obscur, surgissent les monstres ».
Nous vivons ce surgissement des monstres, ces phénomènes morbides des temps de transition et d’incertitude qu’à tort, l’on s’est habitué à nommer crises, comme s’il s’agissait de fatalités, alors qu’ils mettent à l’épreuve notre capacité à échapper aux pesanteurs du présent et à réinventer les espérances du futur. Ils sont bien là, ces monstres, devant nous, défilant dans nos rues, envahissant nos médias, imposant leurs imaginaires de violence et de haine (…)’’

Vedi, per la dizione originaria italiana, il rimarchevole lavoro di trascrizione e messa a disposizione del pubblico intrapreso da Alberto Soave in

Passato e presente

Qui la citazione, ripresa dal sito di Soave, ricollocata nel suo contesto:
‘’L’aspetto della crisi moderna che viene lamentato come «ondata di materialismo» è collegato con ciò che si chiama «crisi di autorità». Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più «dirigente», ma unicamente «dominante», detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò in cui prima credevano ecc. La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.’’
(Quaderno 3 (XX), § 24. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere. A cura di Valentino Gerratana. Torino, Einaudi, 1975, volume I, p. 311. Ringrazio Eugenio Testa, compagno di strade romane, di manifestazioni e di frequentazioni dell’Istituto Gramsci di Paolo Spriano negli anni Settanta.)
‘’Morboso’’, in italiano, è, mi pare, semanticamente assai vicino al concetto di mostruosità, nel senso di un fenomeno patologico, o anormale, forse più esplicitamente che il ‘’morbide’’ francese. Con ‘’morbo’’ in italiano si designa volentieri una malattia infettiva o degenerativa.

Comunque sia, è evidente che tanto il tuttora anonimo traduttore francese, quanto l’artista Jaar e il pubblicista Plenel abbiano fatto riecheggiare nei mostri di Gramsci quelli del pittore Goya: ‘’il sonno della ragione genera mostri’’, ‘’El sueño de la razón produce monstruos’’, acquaforte del 1797 della serie Los caprichos, per la quale Francisco avrebbe lasciato questo commento: ‘’La fantasía abandonada de la razón produce monstruos imposibles: unida con ella es madre de las artes y origen de las maravillas’’, in una sorta di autocritica artistica o, come altri vedono, di apologia dell’Illuminismo. ‘’I fenomeni morbosi più svariati’’, per Goya, non implicano necessariamente un’alienità dei mostri da noi.

Già nella ripresa di Plenel (inizio 2014) i ‘’mostri’’ cui si fa riferimento sono quelli dell’estrema destra risorgente, con il suo corollario di odio e intollerenza nei confronti de ‘’l’altro’’. Jaar ha gli stessi riferimenti per l’Italia del 2018, così come molteplici citazioni inglesi dell’espressione gramsciana avevano accompagnato l’elezione di Trump nel dicembre 2016 (“The old world is dying, and the new world struggles to be born: now is the time of monsters”). Sempre però il mostro è alieno, anche se originario dello stesso corpo sociale. Cioè: ‘’noi’’ siamo normali e ‘’quelli’’ sono strani, o stranieri.

La difficoltà per me è già quella di dire ‘’noi’’, anche se, pur non volendolo, dentro a un ‘’noi’’ sono incluso: perché altrimenti, se sento ‘’quello è mussulmano’’ o ‘’quello è israeliano’’ o ‘’quello vota Le Pen’’, il mio primo moto non è di andare ad abbracciare la sua alterità, ma ho bisogno di un attimo di riflessione prima di includerlo nel mio panorama mentale e affettivo? (il mio ”noi”, eventualmente sarebbe quello di uno studente del Liceo classico statale Virgilio di Roma, figlio di repubblichini, che nell’anno 1972 era allo stesso tempo cattolico e comunista extraparlamentare; non mi pare che ce ne fossero due).

Il peso del mondo, 18×42, 2019 (elemento dell’installazione Millenovecento 2018-2021).

Il mio ‘’noi’’, all’altro estremo, sarebbe quello di un’umanità comune, quella cui fanno appello l’ONG La Cimade e Edwy Plenel all’indomani dell’adozione al parlamento francese (con i voti della destra e dell’estrema destra) di una legge contro l’immigrazione che avrà valore storico (19 dicembre 2023).
Mi piace ridire il “noialtri” del compagno di Manziana, che è un modo di dire “noi” che non conosco in altre lingue (neanche nel nosotros spagnolo e portoghese). Lo voglio leggere in altro modo che non l’identitario e caciarone ‘’noantri’’ (”fra di noi”): noi, altri.

Rivengo alla traduzione francese: « La crise consiste justement dans le fait que l’ancien meurt et que le nouveau ne peut pas naître : pendant cet interrègne on observe les phénomènes morbides les plus variés » (Cahiers de prison, traduction sous la responsabilité de Robert Paris, Gallimard, 1996 : Cahier 3, §34, p. 283).
Quanto a quella inglese, è certo che ‘’ now is the time of monsters’’ è ben più seducente che ‘’in this interregnum, a wide variety of morbid phenomena occur’’ (per una recente analisi anglofona della frase gramsciana rimando al saggio di Gilbert Achcar, ‘’Morbid Symptoms: What Did Gramsci Really Mean?’’, in: Notebooks: The Journal for Studies on Power, pubblicato Online nel febbraio 2022).
E Achcar, nel rimarcare l’imprecisione storica della diffusissima citazione (così come Plenel aveva sottolineato quella linguistica), riconosce la sua pertinenza nei tempi attuali: ‘’It is hence on the far right of the political spectrum that we are witnessing at present the most spectacular ‘morbid symptoms’ produced by the degeneration of capitalist politics. Applying Gramsci’s sentence to this reality is therefore legitimate, even if it is historically inaccurate.’’

Nell’aprile del 1979 acquisii il volume di Jurgis Baltrusaitis Il Medioevo fantastico, Milano, Adelphi, 1973 e Oscar Studio Mondadori 1977, che rimane a tutt’oggi una fonte d’ispirazione importante per il mio lavoro. Non so se ci troviamo in un nuovo Medioevo, ma la visione di quello dello storico dell’arte lituano, in cui mondi apparentemente separati e sconosciuti l’uno all’altro si rivelano teatri di scambio culturale, è una visione cui tengo tuttora.

Suppongo che il Baltrusaitis mi occorresse come appoggio iconografico per una ricerca in corso sulla predella dell’Ostia profanata di Paolo Uccello, ricerca che avrebbe dovuto divenire un Diplôme d’Études Approfondies à l’École des Hautes Études en Sciences Sociales, ciò che mai non divenne, essendo stato il 1980 non solo l’anno del mio primo soggiorno a Parigi ma anche quello dei miei primi tentativi artistici.

Ripensando al Paolo Uccello che in quella fine degli anni Settanta mi occupava insieme con i prodigi mostruosi di Baltrusaitis, mi è chiaro ora che cercavo dalle parti della normalità e dell’alterità, del ‘’noi’’ e del ‘’loro’’.

Gli storici dell’arte, in particolare Marilyn Aronberg Lavin (1967) et Jean-Louis Schefer (2007) hanno mostrato come la predella di Urbino, che narra la storia di una donna ‘’gentile’’ che procura un’ostia consacrata a un usuraio ebreo, il quale tenta di distruggerla col fuoco e col ferro e infine viene scoperto e suppliziato insieme con la sua famiglia, mentre l’anima della donna, dopo una lotta fra angeli e demoni, viene malgrado tutto salvata dall’inferno, si inscrive in un programma degli ordini mendicanti di edificazione dei Monti di Pietà, in alternativa al monopolio dei prestiti su pegno da parte degli usurai, maggioritariamente ebrei. Si trattava inoltre di affermare il recente dogma della transustantazione (Decreto sull’Eucaristia, 1551). La stigmatizzazione dell’altro era necessaria a questo programma.

L’essere di ‘’noi’’ o di ‘’loro’’ lo vivevo costantemente in quegli anni. Essendo buona parte dei miei amici e mentori di origine ebraica, ed essendo quello in Italia il momento di un rinnovamento dell’identità ebraica, anche nella critica al governo israeliano, mi capitava di trovarmi fuori posto e imbarazzante per gli altri, in una cena o un pranzo fra amici, in cui evidentemente ‘’non c’entravo’’. Ricordo come, nel giugno del 1982, al momento dell’invasione del Libano e del massacro di Sabra e Shatila, mi trovai a sentirmi dire: ‘’ma allora sono gli ebrei!’’ (vedi, al soggetto: Andrea Maori, Marta Brachini, Ebraismo: ricostruire dalle macerie L’associazionismo ebraico e di amicizia verso Israele nelle informative di polizia, Nuovi equilibri, Viterbo 2013, in particolare l’analisi del dibattito, nel luglio 1982 sulle pagine de Il Manifesto, fra Giorgio Agamben e Rossana Rossanda e il successivo intervento su l’Unità di Natalia Ginzburg).

Venti anni dopo, il 1° maggio 2002 – mi trovavo a vivere in Francia – partecipai a una Tribune publique, nella sala della Laiterie di Strasburgo, in occasione del secondo turno delle elezioni presidenziali francesi e dell’appello a votare Chirac per impedire l’elezione di Le Pen. Si era numerosi sulla scena a intervenire, uno dopo l’altro con i mezzi d’espressione di cui ognuno disponeva. Un collega artista portò una marionetta fatta di pezzi di scarto, che faceva parlare come fosse un ventriloquo. Io fui tra gli ultimi a parlare, in un’aula che si stava svuotando. Un’amica ha conservato gli atti di quella giornata:
Salvatore Puglia – plasticien italien.
Je vous prends quelques secondes, puisque je crois que ce qui compte ici, plus que de convaincre les convaincus, c’est de faire un geste symbolique et exprimer un témoignage. La parole, plus qu’ici entre nous, devrait être portée à celui qui a voté Front national.
Je vous prends quelques secondes, qu’on m’a demandé d’intervenir ici en tant qu’‘’italien’’. Or, être italien ne m’a jamais particulièrement intéressé. Être français ne m’a jamais particulièrement intéressé non plus.
Plus généralement, c’est le ‘’nous’’, le ‘’être entre nous’’ qui ne m’a jamais intéressé. (Qui avvertii una palpabile freddezza, fra il pubblico, riunitosi proprio per affermare una prima persona plurale). Il y a des situations exceptionnelles, et celle-ci en est une, où le ‘’nous’’ compte pour quelque chose. J’aimerais que cette fois-ci le ‘’nous’’ soit le plus large possible.
Je ne voudrais pas, le 6 mai prochain, devoir revenir chez vous en disant ‘’oh vous les Français, alors que nous les Italiens… ‘’

Torno al Medioevo fantastico. L’interesse di quest’opera è che, alla luce della sua conoscenza dell’arte orientale, Baltrusaitis dimostra come mondi che non sapevano neanche di conoscersi erano influenzati reciprocamente, almeno sul piano delle immagini: nei mostri e nelle bizzarrie medievali erano onnipresenti i motivi dell’arte islamica, buddista, cinese, oltre evidentemente all’eredità dell’antichità greco-romana, fino al soggetto dell’incontro fra I tre vivi e i tre morti, il quale ci sarebbe venuto dal Tibet.

Melfi, chiesa rupestre di santa Margherita. Taluni vedono nelle tre figure di sinistra Federico II di Svevia e suoi familiari in abiti da falconiere (vedi il sito Visioni dell’aldilà).

Trascrivo dal primo capitolo, ‘’Grilli gotici’’: “L’Antichità greco-romana possiede due volti: da una parte, un mondo di dèi e di uomini dove tutto è eroico e nobile nello schiudersi di una vita possente e organica, e, dall’altra, un mondo di esseri fantastici dalle origini complesse, venuti spesso da molto lontano, e che presentano mescolanze di corpi e di nature eterogenee. Eppure si tratta della medesima visione di un’epopea fatta di elementi e aspetti molteplici, che costituiscono un universo completo e unico.
Non così è nella storia delle sue sopravvivenze. Il Medioevo, che non ha mai perso contatto con l’antico sostrato, si volge ora verso l’uno, ora verso l’altro di questi aspetti.’’ (p. 39 dell’edizione 1979, traduzione di massimo Oldoni).

Mi chiedo se questa citazione non possa in qualche modo richiamare l’idea dell’interregno gramsciano.
Mi dico anche che nell’anno 2023 non abbiamo perso il contatto con il nostro sostrato, i mostri in noi. Ma, nell’opera di Baltrusaitis, trovo e trovavo l’idea che il mostro – recondito o acquisito che sia, preesistente o accolto – non è necessariamente ‘’morboso’’ e, anche, che una parte di mostruosità sia necessaria per poter comprendere quella degli altri.

(Fermo immagine dal film di Dino Risi I mostri, 1963, unanimemente considerato una critica corrosiva delle certezze dell’Italia del boom economico.)

Ancora, alla fine di tutte queste divagazioni, non ho risolto il problema iniziale: quando e come i ”fenomeni morbosi” sono divenuti ”mostri” e ”l’interregno” un ”chiaroscuro”?
Ho trovato su Internet qualche vecchia cartolina, una francese non datata (ma dalla grafica piuttosto ”anni Settanta”, un’americana del 1982.

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Ho trovato anche una maglietta disponibile in nove colori diversi:

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Circolo Arci ”Il cosmonauta”, Viterbo, maggio 2022
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Infine, una nota positiva: la citazione di Gramsci, nella sua versione ”poetica”, è ancora e sempre d’attualità. I mostri, a forza di essere evocati, non fanno più tanta paura e possono ritrovarsi in un annuncio commerciale postato su Linkedin, a fine 2022:

‘’Créer des Mondes meilleurs avec et pour nos clients!”

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Concludo riproducendo la foto segnaletica di Antonio Gramsci eseguita il 29 gennaio 1935 e consultabile presso l’Archivio Centrale di Stato (Casellario Politico Centrale). Non è la stessa delle magliette alla ”Che Guevara” ma è lo stesso una bella foto.

Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937)

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Vietri sul mare, dicembre 2023.
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Nota. Mi permetto di rimandare ad alcuni lavori personali su questa tematica:

Bestiaire, 2023

Histoire des monstres bis, 2023

Nuovi mostri, 2023

Birds of Lent, 2022

Histoire des monstres, 2021-2022

Disegni di quaresima, 2020

Le jardin des monstres, 2014

Infine, il risultato di questo lavoro di preparazione sarà un trittico, il quinto di una recente serie sugli anni Settanta:

Fenomeni morbosi svariati

 

Histoire des monstres bis, 2023

Some of these works are ”old” Historia Monstrorum reconfigured using my characteristic luminescent red, while others are new creations. As Aldrovandi’s monsters are often sea creatures, I have chosen to reproduce them together with transparent photographs of European coastal sites.

Histoire des monstres 07 bis, Via cava Fratenuti-Raia exiccata, 24×42.
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Histoire des monstres 13 bis, Pont du Gard-Sus marinus, 24×42.
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Histoire des monstres 15 bis, Maguelone-Orca balaenam, 24×42.
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Histoire des monstres 16 bis , Maguelone-Monstrosus Cyprinus, 24×42.
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Histoire des monstres 02 bis, Lagos-Andura piscis, 24×42.
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Histoire des monstres 11 ter, Camp de César-Niliaca Parei, 24×42.
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Naturkunde, 1990.

 

Naturkundemuseum

Am ersten Tag,
habe ich dir ein trockenes Blatt gesandt.
An einen Ast hast du es gebunden.

Am zweiten Tag,
habe ich dir eine verrostete Schraube gegeben.
Mit Schmirgelpapier hast du sie geglättet.

Am dritten Tag,
habe ich dir eine Taubenfeder gepflückt.
Mit einem Stein hast du sie festgehalten.

Am vierten Tag,
habe ich dir zwei Steine ins Haus gelegt.
Mit einer Schnur hast du sie aufgehängt.

Am fünften Tag,
habe ich eine Flaschenscherbe zurückgetragen.
In Packpapier hast du sie versteckt.

Am sechsten Tag,
habe ich ein Messer auf den Tisch gelegt.
In der Fischwanne hast du es ertränkt.

Am siebenten Tag,
habe ich dir nichts hinterlassen.
Um mir von Liebe zu sprechen bist du gekommen.

 

 Naturkunde

Die primo tibi
deciduum misi folium
Quod statim ramo ligasti

Die secundo tibi
clavum tortum dedi
ac robigine corrosum
Quem pumice limasti

Tertio die
pennam legi palumbinam
Quam lapidi subjecisti

Die quarto tibi
duos domi collocavi calculos
Quos funiculo pendisti

Quinto die
vitreum rettuli fragmen
Quod in chartam condidisti

Sexto die tibi
in mensam cultrum posui
Quem in piscinam mersisti

Septimo die
nihil reliqui
Ipsa ad amorem venisti declarandum

 

Botanischer Garten

Die abgebrochene Blume legte ich
in ein Fleischereipapier
Warte, daß sie welk wird

Das abgerissene Blatt legte ich
zwischen die Seiten des Buches
Warte, daß sie sich zusammenrollt

Den gebrochenen Ast hängte ich
an eine Schnur
Warte, daß er blüht

Das Eisen legte ich
in die Nähe der Blume
Sie wieder rot zu machen

Das Kupfer legte ich
über das Blatt
Es wieder grün zu sehen

Das Silber band ich
an den Ast
Ihn schwarz zu machen

 

Botanischer

Sectum posui florem
in chartam macellariam
exspecto dum defloreat

Fractam posui frondem
libri inter paginas
dum in semet convolvat

Ruptum liqui ramum
de fune pendentem
exspecto dum floreat

Quem ad florem
ferrum posui
qui rubescat

aesque posui
super frondem
quae virescat

argentumque
ramo vinctum
quo nigrescat

 

Steinplatz

Für jeden Schmerz
Warf ich einen Stein in den See .
Und der See füllte sich.

Für jede Träne
ließ ich einen Stein auf der Säule.
Und auf der Säule entstand ein Berg.

Für jeden Gewissenbiss
Legte ich einen Stein in den Garten.
Und mein Garten wurde ein Steinbruch.

Für jedes Verlangen
Sammelte ich einen Stein von der Strasse auf.
Und die Strasse ist so steinig.

 

Steinplatz

Pro quoque dolore
lapidem in lacum jeci
lacusque completus est

Pro quoque desiderio
lapidem in stela liqui
monsque stela facta est

Pro quaque paenitentia
lapidem in hortum posui
hortusque lapidescit

Pro quaque cupidine
lapidem de via legi
quae lapidosa manet

(1990)

Ins Lateinische übersetzt von Daniel Loayza

 

 

Affreschi rinvenuti: un rendiconto, 2023.

Affreschi rinvenuti
Una mostra nella Sala Catasti dell’Archivio di Stato di Napoli
in dialogo con le pitture di Belisario Corenzio
28 aprile – 27 maggio 2023

Una stratificazione del lavoro riscoperto di Belisario Corenzio e del mio proprio lavoro. La pittura di inizio Seicento, il suo stato attuale, quadri miei e fotografie di dieci e trent’anni fa, la loro sovrapposizione alle riproduzioni degli affreschi, la visione nuova (una fra le tante possibili) del mio lavoro e anche di quello del pittore greco-partenopeo.
Una serie Corenzio-Robinson: fotografie del restauro in corso stampate su vetro e sovrapposte a mie foto di spiagge incontaminate o quasi. Una serie Corenzio-Gulliver: dettagli degli affreschi prima del restauro, giustapposti a quadri miei antichi di trent’anni, ritagliati e rilavorati. Una serie Corenzio-Hölderlin: la famosa lettera del poeta tedesco, alla soglia della pazzia, al suo amico Böhlendorf, riprodotta su vetro: qui la sua distorta visione dell’antichità si sovrappone alla scialbatura gialla che copriva le pitture di Belisario.
Altre piccole serie dalle fonti più miste: le riproduzioni dei pagamenti al Corenzio o degli articoli critici ottocenteschi, sovrapposti a mie foto di soggetto “rupestre”: abbazie abbandonate e riprese dalla natura, romitori medievali, necropoli etrusche; le incisioni dal bestiario di Ulisse Aldrovandi, il naturalista bolognese coevo del nostro; i Drum Songs, le sfide poetiche di Ammassalik in Groenlandia orientale.
Salvatore Puglia

Il lavoro di Salvatore è stratificazione di scritte, foto, stampe, interventi grafici, sovrapposizione di linguaggi, di tecniche, di epoche, di letterature. Per me la sua opera è l’equivalente artistico delle Macchie di Rorschach: un test proiettivo basato su stimoli visivi intenzionalmente ambigui, volutamente incompleti o, al contrario, ridondanti.
In questa fusione di segni chi osserva può fermarsi all’apparenza o lasciarsi guidare da racconti fantastici popolati da creature mitiche e illustrati da lingue sconosciute, può leggere e trovare storie sempre diverse, a seconda dell’umore di chi guarda, della luce che colpisce l’opera, del contesto in cui l’opera stessa è esposta. Sono opere dialoganti, parlano alle emozioni, al cuore e alla testa di ciascuno in modo diverso.
In questo trovo l’arte di Salvatore: nell’aprire con la sua opera alla possibilità di una storia, di un racconto, immaginifico o semplicissimo, che, per dirlo con le parole di una poetessa dell’oggi, “dell’arte quindi ha il rischio, l’improvvisazione, lo studio e la dimenticanza dello studio, la dedizione, la leggera e misurata follia, la precarietà, la vocazione, l’invasione nella vita quotidiana, la spellatura”.
Maria Teresa Volpe

Quale funzionario della Soprintendenza sono stato coinvolto, per molti anni, nel progetto di restauro, rifunzionalizzazione e fruizione dell’ex convento dei SS. Severino e Sossio, quale co-responsabile scientifico prima, progettista e direttore dei lavori poi. Il lasso di tempo che me ne sono occupato è paragonabile a quello di Ercole Lauria, solo per la durata temporale naturalmente, non certo per le capacità di trasformazione che l’ingegner Lauria seppe operare nel convento benedettino per trasformarlo nella sede di uno degli archivi più importanti d’Italia, perché nel complesso dei SS. Severino e Sossio si custodiscono i documenti di un Regno non solo di una città.
Molte sono le trasformazioni che Lauria ha operato, anche in quella che era la Sala del Capitolo che diventerà una delle sale dove si custodiscono i preziosi documenti, in particolare la Sala dei Catasti Onciari.
Purtroppo, la realizzazione delle librerie ha irrimediabilmente ma inconsapevolmente, perché gli affreschi erano stati in precedenza
scialbati, gli affreschi parietali che Belisario Corenzio aveva realizzato in questo ambiente fulcro nevralgico della vita del complesso monastico.
Certamente uno dei momenti più emozionanti della mia attività nel complesso è stato quello del rinvenimento degli affreschi di Belisario Corenzio, in quella che era stata la Sala del Capitolo. Il disvelamento dei volti, delle figure che quotidianamente avveniva sotto le mani sapienti delle restauratrici, che lentamente asportavano le pesanti mani di grigio e di giallo, è stata per mesi una gioia pressoché quotidiana, fino ad arrivare al risultato finale, con tante lacune certo, ma rivedere dei quadri rimasti nascosti per due secoli e dei quali non si aveva nemmeno notizia, è stato impagabile.
Per una singolare coincidenza, nella primavera del 2021, ero con Salvatore Puglia, che avevo accompagnato a recuperare delle opere a palazzo Spinelli, quando il direttore dei lavori in corso alla sede dell’Archivio di Stato, mi ha telefonato per invitarmi ad andare in cantiere, pur essendo oramai in pensione, perché voleva mostrarmi qualcosa che era emerso nel corso dei lavori. Ho quindi proposto a Salvatore di venire con me e, in quella occasione, anche per lui si sono svelati gli affreschi di Bellisario Corenzio stuzzicando e stimolando la sua creatività.
Ebbene, le opere di Salvatore Puglia, che permettono di intravedere, di scorgere, “nascosta” da scritte o da esili tessiture, l’opera di Corenzio, è come se consentissero agli osservatori di condividere quella che è stata la mia, la nostra emozione.
Claudio Procaccini

 

Bestiarum 2023, 15×15 et 20×20.

15×15 available December 2023
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20×20 available December 2023
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Une nouvelle série de dessins inspirés par la céramique vernaculaire d’Italie du Sud et l’ouvrage de Jurgis Baltrusaitis Le Moyen Âge fantastique. Je les ai exécutés sur biscuit à la fin novembre à l’usine Scotto de Vietri sul Mare.

Format des carreaux : 20×20 et 15×15 cm, épaisseur 1 cm. Couleur :  rouge bordeaux.
Prix 30 € pièce les 20×20, 25 € les 15×15, frais de port inclus.

Pour les formats ”zoccolo”, voir : Bestiarium 10×20

Voir aussi la page récapitulative Ceramic writings 2003-2023.
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A new series of drawings inspired by the vernacular ceramics of Southern Italy as well as by Jurgis Baltrusaitis The Fantastic in the Middle Ages.

Format of the ceramic tiles: 20 x 20 cm. Thickness 1 cm. Color: Burgundy red.

Price: 30 € per tile, including shipping within Europe.

Orders can be made via my website, at the page Bio/Contact.

 

 

 

Bestiarium, ceramic tiles 2023.


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A new series of designs inspired by Southern Italian vernacular ceramics and Jurgis Baltrusaitis’ book Le Moyen Âge fantastique. They have just come out of the kiln at the Scotto factory in Vietri sul Mare.

Tiles are available in 10×20, 15×15 and 20×20 cm. Thickness 1 cm. Color: burgundy red.
Price €25 each (€30 the 20×20), shipping not included.

See also the Ceramic writings 2003-2023 summary page, and examples at the bottom of this page.

Remaing tiles, format 10×20 cm.
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Remaing tiles, format 15×15 cm.
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Remaing tiles, format 20×20 cm.
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Polytechnio (Anni Settanta, quattro).

Polytechnio, 2023 (Anni Settanta trittico quattro).
Three pieces 26×42 cm lead framed. Print on paper, digital print on glass.

The main inspiration for this little project is the film secretly made by  Nicolas Vernicos in November 16 and 17 1973, in front of the National Technical University of Athens:

Aylon Film Archives

The following text was taken from the Aylon Film Archives website:

The Athens Polytechnic uprising occurred in November 1973 as a massive student demonstration of popular rejection of the Greek military junta of 1967–1974, which had imposed a dictatorship in Greece on April 21, 1967.
The uprising began on November 14 with the occupation by students of The National (Metsovian) Technical University of Athens, which escalated into an anti-dictatorship protest, as thousands of citizens gathered there. The occupation ended in the early hours of November 17 when a tank invaded the university’s main entrance followed by the police and the army. The uprising triggered a series of events that caused the injury and the death of many civilians and led many others to imprisonment and torture. The filmmaker Nicolas A. Vernicos is in a room of the “Acropol” hotel, across the university. He records the events secretly.

I superimposed threes still from Nicolas Vernicos movie with three plates from Francesco Colonna Hypnerotomachia Poliphili (The Dream of Poliphilus, Aldo Manuzio, Venezia 1499), colored in red. No relation between them, apart from the confrontation of two – or three, with Ritsos poem – possible ‘’greeknesses’’ (Please refer to my website article: From Cythera series C).

The reproduced plates: Tryumph of Semele, Poliphilus encounters the Woolf, Dream of Poliphilus.

Yannis Ritsos poem ‘’Transparency’’, which appears in the second piece, is translated into Italian by Nicola Crocetti and into French by Nassia Linardou.

 

Polytechnio 01 (Tryumph of Semele), 26×42, 2023.
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Polytechnio 02 (Poliphilus encounters the Woolf), 26×42, 2023.
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Polytechnio 03 (Dream of Poliphilus), 26×42, 2023.
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La Taranta remix, 2023.

Grand auditorium – Carré d’art, Nîmes.
Vendredi 10 novembre 2023  à
18h30 

Rencontre Poésie/Cinéma 

Projection et lecture suivies d’une rencontre avec Salvatore Puglia et Suzanne Doppelt

 

(La Taranta, Gianfranco Mingozzi, 1962, 18,12 min.)

A l’époque des moissons, les paysans des Pouilles qui travaillent pieds nus sont parfois piqués par la tarentule. Dans la croyance populaire, ces victimes sont possédées par la maladie, par le Mal, par le Diable. Pour se libérer, les tarantati s’abandonnent à des mouvements convulsifs, évoquant ceux de l’araignée, sur une musique obsédante au rythme de plus en plus rapide. En été 1961, Gianfranco Mingozzi en fait un film à partir de La Terre du remords, une étude ethnographique pluridisciplinaire, avec la participation de l’ethnomusicologue Diego Carpitella, dont les enregistrements figurent dans le montage de La Taranta. Pour le commentaire, Mingozzi s’adressa au poète Salvatore Quasimodo, Prix Nobel de littérature en 1959.

« Si je me suis intéressé au sujet de la Taranta – qui en Italie est loin d’être seulement un sujet d’études ethno-démo-musicologiques mais est devenu un phénomène de culture populaire, en même temps savante et de masse – c’est que j’aurais pu moi-même être l’un de ces garçons qui guettent la tarantolata par la fenêtre de sa masure. » SP

Projection/performance de Salvatore Puglia. Il dira en direct le texte de Salvatore Quasimodo qu’il a traduit en français.  

Le lien au travail Galatina remix et aux sources documentaires de la performance.

 

Rencontre avec les artistes suivie de la signature des ouvrages de Suzanne Doppelt et de la présentation des œuvres de Salvatore Puglia.

En écho… 

Galatina remix, travail plastique conçu par Salvatore Puglia à partir du film de Gianfranco Mingozzi

Exposition sur le plateau Adulte (entresol) mur Etudes côté Arts, du 7 novembre au 9 décembre 2023 

« Il y aura douze tableaux de 30×40 utilisant des arrêts sur images d’intérêt plus autobiographique. Chacun portera une ou deux lettres de la phrase Et in Arcadia Ego, écrites sur une carte topographique d’Italie du Sud. Chaque tableau sera décoré de pièces de puzzle vierges, peintes en rouge fluo (acrylique La Pajarita Fluor F-3, qui remplace efficacement mon Lumen rosso 26) et appliquées selon la suite de Fibonacci, de 0 pour le premier à 89 pour le douzième (comme on le sait, la progression de Fibonacci née pour calculer le taux de reproduction des lapins, considère chaque numéro comme l’addition des deux qui le précèdent). » SP

 

 

Cravos (Anni Settanta, tre).

Cravos, 2023, trittico, 24×42 l’unità, stampa numerica su carta, impression UVgel su PVC.

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Cravos 01
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Cravos 02
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Cravos 03
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Per questo terzo trittico ”storiografico” ho usato come fondo fermi immagine di una trasmissione pedagogica della radio-televisione portoghese (https://ensina.rtp.pt/artigo/a-fotografia-na-revolucao-de-abril/), del 2018, nella quale lo speaker si piazza all’interno dell’immagine, come fosse presente all’avvenimento. Questa sua tecnica si apparenta alla mia, di intrusione (o sovrapposizione) di immagini apparentemente incongrue, come i miei à-plat di colore degli anni Settanta.
I miei pastelli qui riprodotti datano probabilmente del 1978, data in cui mi recai a Lisbona per la prima volta e disegnavo, giorno dopo giorno, le linee del ponte di Setubal (oggi Ponte 25 de Abril), da ogni angolo e sotto ogni luce, anche qui seguendo la mia ispirazione ‘’liciniana’’.

Sulle fonti fotografiche utilizzate, vedi anche:
Fotos 25 de Abril 1974 e 1º de Maio Video 4K

 


(Foto: Ordem dos engenheiros)

 

 

For this third “historiographical” triptych, I used as background stills from a Portuguese radio-television pedagogical broadcast (https://ensina.rtp.pt/artigo/a-fotografia-na-revolucao-de-abril/), from 2018, in which the speaker places himself inside the image, as if he were present at the event. This technique of his relates to mine, of intrusion (or superimposition) of seemingly incongruous images, such as my 1970s color à-plats.
My pastels reproduced here probably date from 1978, the date when I went to Lisbon for the first time and drew, day after day, the lines of the Setubal Bridge (today the Ponte 25 de Abril), from every angle and under every light, again following my ”Licini/Klee” inspiration.

 

La Buoncostume remix (Anni Settanta, due).

Anni Settanta, trittico due.
42×20 cm il pezzo, cornice in piombo, 2023
(riporto alla trielina su vetro, stampa UVgel su PVC, stampa digitale su carta).

Tre delle foto d’identificazione della Buoncostume romana dei primi anni Settanta, recuperate da un catalogo sfuggito al sequestro del materiale espositivo della galleria Il Museo del Louvre (mostra prevista per il gennaio-marzo 2008, sequestrata prima dell’apertura).

Ho conservato, rispetto al lavoro da cui provengono (La Buoncostume suite, 2009) i vetri su cui avevo trasferito alla trielina pagine del libro di grammatica in uso nelle Scuole per i contadini dell’Agro Romano (primo Novecento), che furono il soggetto della mia tesi di laurea nel 1978. Il soggetto del mio dattiloscritto, di cui ho perso traccia, era il movimento ‘’verso il popolo’’ di pittori e intellettuali romani di ispirazione tolstoiana e socialista, che andavano a diffondere l’istruzione presso i contadini nomadi della campagna romana.

Ho aggiunto un elemento nuovo: la riproduzione di certi miei disegni al pastello a cera, il cui modo ‘’à-plat’’ era ispirato a certi quadri astratti di Licini, il pittore che più ammiravo in quegli anni. Osvaldo Licini (1894-1958), artista ‘’marchigiano-parigino’’, operò a cavallo di vari movimenti artistici fra le due guerre, prima di definire un proprio stile singolare, una pittura poetica che ne fa a mio avviso il Paul Klee italiano (forse insieme con Fausto Melotti). Soprattutto mi affascinavano i suoi personaggi, gli olandesi volanti, le Amalassunte, gli Angeli ribelli che, appunto, mi richiamavano il benjaminiano Angelus Novus di Klee (1920).

I colori che usavo per le mie prime pitture erano poi simili a quelli dei grossi maglioni a strisce che indossavo, ordinati a un’amica non ancora femminista.

La Buoncostume remix 01-03, 42×20 apiece, 2023.
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La Buoncostume suite 01-06, 42×20 apiece, 2009.
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Forme, tryptic, 18×12 cm apiece, 1979
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Via del Paradiso, Roma, 1980. Tre opere: un montaggio di fotografie dipinte (tre amici a Londra), cocci di bottiglia infissi nel cemento e sormontatati da un telo dipinto d’azzurro, un ”mobile” uccello alla Braque. Sulla sedia un proiettore di diapositive, con il quale  proiettai dalla finestra i miei primi acquerelli sul muro laterale della chiesa di S. Andrea della Valle.
………

Three identification photos of Roman Vice Squad from the early 1970s, retrieved from a catalog that escaped the seizure of exhibition material from the gallery The Louvre Museum (exhibition planned for January-March 2008, seized before opening).

I kept, with respect to the work from which they came (The Vice suite, 2009) the glass on which I had transferred to trichloroethylene pages from the grammar book in use in the Schools for the peasants of the Agro Romano (early twentieth century), which were the subject of my dissertation in 1978. The subject of my typescript, of which I have lost track, was the ”to the people” movement of Tolstoyan and socialist-inspired Roman painters and intellectuals who went to spread education among the nomadic peasants of the Roman countryside.

I added a new element: the reproduction of certain of my drawings in wax pastel, whose ”à-plat” manner was inspired by certain abstract paintings by Licini, the painter I most admired in those years. Osvaldo Licini (1894-1958), a ”Marche-parisian” artist, worked at the crossroads of various artistic movements between the two wars, before defining his own singular style, a poetic painting that makes him in my opinion the Italian Paul Klee (perhaps together with Fausto Melotti). Above all, I was fascinated by his characters, the Flying Dutchmen, the Amalassunte, the Rebel Angels, which, precisely, reminded me of Klee’s Benjaminian Angelus Novus (1920).

Translated with www.DeepL.com/Translator (free version)

Le monument enfoui (2023)


(Un mémorial pour Bernard Lazare)

Érigée par souscription publique et inaugurée à la présence du vice-président du Sénat Frédéric Desmons en octobre 1908, mutilée après la première Guerre mondiale, défigurée par un ‘’Mort aux juifs’’ à la peinture noire dans les années 40, entreposée dans un square municipal et finalement utilisée comme matériel de remblai pour le monument à la Résistance érigé en 1946 sur un lieu d’exécution nazie, la statue de Bernard Lazare à Nîmes, qui figurait en bonne place à l’entrée des jardins de la Fontaine, à proximité des monuments à Antoine Bigot, écrivain occitan, protestant et républicain et à Jean Reboul, boulanger-poète catholique et royaliste, n’a toujours pas retrouvé sa place, que ça soit une réplique à l’identique, comme geste de rétablissement symbolique face aux assauts de la droite extrême, ou un nouveau signe, qui voit dans l’œuvre de mémoire une transformation créative de l’héritage historique.
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Le monument aux Martyrs de la Résistance, boulevard Jean Jaurès à Nîmes (Photo Stéphane Mahot, 2016).
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PS : Ce qui suit est un compte-rendu de ma visite aux archives municipales de Nîmes, 28/03/2023, sur sollicitation du Collectif Mémoire et histoire (Dossiers 4H57 sur l’édification du monument aux martyrs de la Résistance, 92W22 et 2070 W 113 sur le rétablissement du monument à Bernard Lazare).

La question du rétablissement d’un monument à Bernard Lazare s’est posée à plusieurs reprises, après la destruction de la stèle inaugurée en 1908 aux Jardins de la fontaine, notamment en 1984-1986 et 2000-2001.

En 1984, un échange entre le maire de Nîmes, Jean Bousquet et le ministre de la culture, Jack Lang, aboutit en 1986 à un financement de la part de l’État pour 150.000 francs (la moitié de la somme envisagée) apparemment jamais utilisés. Aujourd’hui 300.000 francs correspondraient à 86.000 euros. La somme, considérée dérisoire par tous les acteurs à l’époque, fut finalement retenue aussi par les artistes qui répondirent à l’appel de la Mairie.

Plusieurs artistes ayant été envisagés, finalement c’est le projet de Christian Boltanski, personnellement présenté par Bob Calle (directeur du Carré d’art) qui fut le plus proche d’être adopté. N’ayant finalement pas eu de réponse de la part de l’administration nîmoise, Boltanski se retira du projet, trois ans après l’avoir présenté. Surement son projet était encore précoce et trop difficile à réaliser.

En 1990-1992 la discussion se rouvre, le maire n’ayant pas approuvé le projet de Dani Karavan (dont, contrairement à celui de Boltanski, je n’ai pas retrouvé de traces aux archives). Finalement Bob Calle se dessaisit de l’affaire et Christian Liger, adjoint au maire délégué à la culture, semble faire de même.

En 2000-2001 une requête de Carole Sandrel (Les amis de Bernard Lazare), en préparation du centenaire de la mort de l’écrivain, semble remuer un peu les choses, mais apparemment sans suite.

Le projet de Boltanski, prévoyait, au lieu qu’une réalisation monumentale, une installation de pierres, accompagnées de petites plaques, sur une falaise surplombant un bassin, à la hauteur de “l’avant dernière terrasse du jardin de la Fontaine”.  Ces pierres auraient dû venir de chaque lieu d’où une différente communauté serait venue à Nîmes, pour un minimum de douze et jusqu’à trente, comme un mémorial qui se construirait au fur et à mesure.

Ce que Boltanski ne savait surement, puisque cela l’aurait intrigué, est que la statue existait toujours : démontée pendant la seconde guerre mondiale et après un séjour dans le jardin du musée du vieux Nîmes, elle avait fini par être intégrée comme matière première du monument aux martyrs de la Résistance, édifié à partir de 1946 sur l’avenue Jean Jaurès.

La stèle elle-même était bien endommagée et défigurée, comme le montre une image tirée d’un article de Georges Mathon publié en 2003 sur son site www.nemausensis.com (bien évidents le visage de Lazare barbouillé et le « tag » mort aux juifs).

Avril 2023
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(D’après le site www.nemausensis.com)

À la suite, un choix de documents issus des archives municipales de Nîmes (92W22 et 2070 W 113) :

 

 

(Le Collectif Histoire et Mémoire s’est engagé dans la perspective de rétablir le monument à Bernard Lazare sur l’emplacement et dans les formes d’origine, impliquant les différents acteurs administratifs et associatifs, à l’occasion de l’anniversaire de sa naissance, en 2025).

Wallflowers remix (Anni Settanta, uno).

Anni Settanta, triptych one.
32×32 cm apiece, lead frame, 2023.
(trichloroethylene transfer on glass, Fun and Fancy colors on glass, Istituto Geografico Militare map, pencils).

All’alba dei miei settant’anni, inizio un lavoro sugli anni Settanta, il decennio dei miei vent’anni. Penso che si svilupperà per trittici e spero di completarne tre o quattro.
Il primo trittico è una ripresa di un lavoro del 2010 che era a sua volta una ripresa della tematica dell’identificazione: Wallflowers remix.
Ho raschiato via la carta da parati che faceva da fondo, in allegoria del fondo quadrettato in uso nei commissariati di polizia, a certi ritratti della Buoncostume romana, abbandonati nella spazzatura di fronte alla Questura a fine 2007, ritrovati da un libraio-gallerista romano ed esposti neanche una giornata, prima che i Carabinieri mandati dalla Sovrintendenza non li sequestrassero insieme con tutto il materiale espositivo, cataloghi compresi.
Ho sostituito la carta da parati con carte militari dell’IGM ritagliate nel formato del quadro, 32×32 cm. Questi ritagli cartografano siti in cui, in pochi chilometri quadrati, sono accaduti avvenimenti marcanti del decennio 1970: il delitto di Castelporziano (10 agosto 1975), l’assassinio di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), il festival di poesia sulla spiaggia di Capocotta (28-30 giugno 1979), in cui vidi Allen Ginsberg, inascoltato da tutti i giovani proletari intenti a bombardare il palco con lattine di birra ripiene di sabbia, intonare all’organetto il suo Kaddish Father Death Blues.
Sulle carte ho apposto timbri inchiostrati di rosso, da me scavati nelle pietre saponarie riportate dalla Cina, oppure ordinati ad artigiani ambulanti di Canton in un soggiorno del 1990: segni senza senso, oppure scritture brevi, Wallflowers, Ashbox, Nequid nimis, o la mia firma trascritta in caratteri cinesi.
Ho anche copiato a mano frasi che mi girano nella testa ossessive da almeno un trentennio: non dicere ille secrita abboce (catacombe di Domitilla, VIIIe secolo), alexamenos sebetai theos (graffito sul Palatino a didascalia del disegno di un cristiano in atto di preghiera, la testa d’asino e le braccia aperte), perimeno, ananke, όχι Ιθάκη, όχι όλες οι περιπέτεa (no, Itaca no, non un’altra avventura, dalla  poesia ”Trasparenza” di Yannis Ritsos nel Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Milano, Feltrinelli, 1978 che tanto leggevo).
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Anni Settanta 01, Idroscalo, 32×32, 2023.
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Anni Settanta 02, Castelporziano, 32×32, 2023.
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Anni Settanta 03, Capocotta, 32×32, 2023.
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At the dawn of my seventies, I am beginning a work on the 1970s, the decade of my twenties. I think it will develop in triptychs and I hope to complete three or four of them.
The first triptych is a reprise of a 2010 work that was itself a reprise of the theme of identification: Wallflowers remix.
I scraped off the wallpaper that served as the background, in allegory of the checkered background in use in police stations, to certain portraits of Roman Vice squad, abandoned in the trash in front of the Questura in late 2007, found by a Roman bookseller-gallerist and exhibited not even a day, before the Carabinieri sent by the Superintendence did not seize them together with all the exhibition material, including catalogs.
I replaced the wallpaper with IGM military maps cut out in the picture format, 32×32 cm. These cutouts map sites where, in a few square kilometers, marking events of the 1970s happened: the Castelporziano crime (August 10, 1975), the murder of Pier Paolo Pasolini (November 2, 1975), the Capocotta beach poetry festival (June 28-30, 1979), in which I saw Allen Ginsberg, unheard by all the young proletarians intent on bombarding the stage with sand-filled beer cans, singing his Kaddish Father Death Blues on the harmonium.
On the papers I stuck red-inked stamps, either carved by me from soapstone brought back from China, or ordered from itinerant artisans in Canton during a 1990 stopover: nonsense signs, or short writings, Wallflowers, Ashbox, Nequid nimis, or my signature transcribed in Chinese characters.
I have also copied by hand phrases that have been running around in my head obsessively for at least thirty years: non dicere ille secrita abboce (Domitilla catacombs, 8th century), alexamenos sebetai theos (graffito on the Palatine captioning a drawing of a Christian in the act of prayer, donkey’s head and arms outstretched), perimeno, ananke, όχι στην Ιθάκη, όχι σε αυτές τις περιπέτειες (no to Ithaca, no to all these vicissitudes, from a poem by Yannis Ritsos in Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Milano, Feltrinelli, 1978 that I used to read so much).
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Wallflowers remix 02, 32×32, 2010.
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Wallflowers remix 04, 32×32, 2010.
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Wallflowers remix 06, 32×32, 2010.
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À l’aube de mes soixante-dix ans, je commence un travail sur les années soixante-dix, la décennie de mes vingt ans. Je pense qu’il se développera en triptyques et j’espère en réaliser trois ou quatre.
Le premier triptyque est une reprise d’une œuvre de 2010 qui était elle-même une reprise du thème de l’identification : Wallflowers remix.
J’ai gratté le papier peint qui servait de fond (en allégorie du fond à carreaux utilisé dans les commissariats pour les portraits de la Brigade de Mœurs), portraits abandonnés dans les ordures devant la Questura fin 2007, retrouvés par un libraire-galeriste romain et exposés pendant à peine une journée, avant que les carabiniers envoyés par la Surintendance ne les saisissent avec tout le matériel de l’exposition, y compris les catalogues.
J’ai remplacé le papier peint par des cartes militaires IGM découpées au format de mon image, 32×32 cm. Ces découpages représentent les lieux où, sur quelques kilomètres carrés, se sont déroulés des événements marquants des années 1970 : le crime de Castelporziano (10 août 1975), l’assassinat de Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), le festival de poésie de la plage de Capocotta (28-30 juin 1979), où j’ai vu Allen Ginsberg, ignoré de tous les jeunes prolétaires qui bombardaient la scène de canettes de bière remplies de sable, chanter son Kaddish Father Death Blues à l’accordéon.
Sur les cartes, j’ai apposé des tampons à l’encre rouge, soit sculptés par mes soins dans des pierres à savon ramenées de Chine, soit commandés à des artisans itinérants de Canton lors d’un séjour en 1990 : des signes sans signification, ou de courts écrits, Wallflowers, Ashbox, Nequid nimis, ou ma signature transcrite en caractères chinois.
J’ai également recopié à la main des phrases qui tournent dans ma tête de manière obsessionnelle depuis au moins trente ans : non dicere ille secrita abboce (catacombes de Domitilla, VIIIe siècle), alexamenos sebetai theos (graffito sur le Palatin légendant un dessin d’un chrétien en train de prier, tête d’âne et bras tendus), perimeno, ananke, όχι στην Ιθάκη, όχι σε αυτές τις περιπέτειες (non à Ithaque, non à toutes ces vicissitudes, d’après un poème de Yannis Ritsos dans Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Milano, Feltrinelli, 1978 que je lisais beaucoup).

(Traduction automatique de l’italien : https://www.deepl.com/translator#it/fr/)

 

 

 

 

Laralia (Dale i Sunnfjord 1999)

This work is entitled Laralia. The dictionary tells us that, in ancient Roman times, the Lares were the ancestors’ spirits, whose images, made out of painted wood or cast wax, were collected and worshipped in a specially designated part of the mansion called the Laralia.
These pictures were periodically displayed in processions, and then set on fire. Pliny the Elder mentions them in the section of Naturalis Historia devoted to painting (Book, XXXV, 6-7): in his criticism of modern art then in vogue, he underlines the moral value of these portraits, which served not only to commemorate the deceased, but also to accompany the living, so that “when somebody died, the entire assembly of his departed relatives was also present”.
Ten pictures of local people, chosen at random among the ones conserved at the Fjaler Folkbibliotek, have undergone a multi-staged process of transformation: first, they are deformed in order to reveal their Anamorphosis, reminiscent of the long evening shadows; then, they are enlarged to life size; finally, their silhouettes are traced and cut out on boards of pine wood.

These black silhouettes were placed atop Dalsåsen Hill and then set on fire, in a brief ceremony.
On the other end, the three-meter high plates, from which the silhouettes had been carved out, were erected in the Øvstestølen Plateau, above Dale, in a spot visible from the Jøtelshaugen Peak. Painted in oxide red, these steles turn their backs to the west, so that, at the end of the day, around mid-August, the shadow of each top touches a stone, under which the original picture of the corresponding individual has been placed.
This work is mobile. During the day, in sunlight, the shadows on the ground change shape, cross each other and are, for a fleeting moment, similar to the original picture.
The instantaneous freezing of the photographic image documents a unique state of a person and is meant to be recognisable by the person’s relatives and the collective memory. In Laralia this image is subjected to multiple reproductions, which progressively distance the subject from its departure point.
The final stage of this process – the woodcut – is the opposite of the photographic image, in terms of the time and energy required for its execution; the slowness can be seen as a less tyrannical and intense way of recording the image.
The ten pictures, transformed into steles whose commemorative function is only vaguely related to the individuals they portray, will surrender to the action of time and nature, which will further modify them and ultimately lead to their decay.

This work is not intended to be a mere celebration of local history. Instead, it is an attempt to finding a sign or a “monogram”, of vanished individualities that could possibly remain after a progressive flattening of the recorded images. Perhaps this process mirrors the functioning of our memory, with its arbitrary choices, gaps and repetitions and constitutes an attempt to navigate between the opposing poles of amnesia and hypermnesia, forgetfulness and obsession.

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(A short movie by Knut Nikolai Bergstrom, 3’32”)

laralia-06

 

Note: for a journal of this installation, see Diario Boreale, interrotto. And, also in Italian, a transcribed notebook: Taccuini scandinavi 1999-2000.

 

 

 

Galatina remix, 2022-2023.

Préface

Si je me suis intéressé au sujet de la Taranta – qui en Italie est loin d’être seulement un sujet d’études ethno-démo-musicologiques – mais est devenu un phénomène de culture populaire, en même temps savante et de masse – c’est que, vu mon âge et mes origines géographiques, j’aurais pu moi-même être l’un de ces garçons qui guettent la tarantolata par la fenêtre de sa masure.
J’ai entrepris la traduction en français du texte de Salvatore Quasimodo, Prix Nobel de littérature en 1959, auquel Gianfranco Mingozzi s’adressa, sans doute par le biais de son mentor, Cesare Zavattini.
Le texte, qui fait bien référence aux écrits de l’ethnologue Ernesto De Martino (Sud e Magia, Milano 1959 et probablement La terra del rimorso, Milano 1961), fut rédigé en moins de vingt jours, Mingozzi souhaitant présenter son film au très proche Festival dei popoli de Florence (janvier 1962, où effectivement il gagna le prix Marzocco d’oro).

Je vais reprendre cette série récente de neuf petits formats (Galatina 1961) en utilisant d’autres arrêts sur images, d’intérêt plus “autobiographique”. Il y aura douze 30×40, dont chacun portera une ou deux lettres de la phrase Et in Arcadia Ego, écrites sur une carte topographique d’Italie du Sud. Chaque tableau sera décoré de pièces de puzzle vierges, peintes en rouge fluo (acrylique La Pajarita Fluor F-3, qui remplace efficacement mon Lumen rosso 26) et appliquées selon la suite de Fibonacci, de 0 pour le premier à 89 pour le douzième (comme on le sait, la progression de Fibonacci née pour calculer le taux de reproduction des lapins, considère chaque numéro comme l’addition des deux qui le précèdent).
Au dernier tableau de la série, le puzzle, qui ne montre rien mais cache plutôt l’image au fur et à mesure qu’il avance, sera presque entièrement rempli.
J’avoue que j’ai choisi cette formule tout en pensant à Mario Merz (Crocodilus Fibonacci, 1972, entre autres) et à des formes en spirale dont je me suis servi pour des travaux récents (Going round and round).

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Le texte de Quasimodo (Gianfranco Mingozzi, La Taranta, Kurumuny, Lecce 2009).
Et ma tentative de traduction française : Quasimodo La terre du remords

 

Ici un court extrait (1:20) de La Taranta remix :

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Galatina remix, 2022.

01, 30×40.
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02, 30×40.
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03, 30×40.
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04, 30×40.
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05, 30×40.
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06, 30×40.
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07, 30×40.
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08, 30×40.
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09, 30×40.
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10, 30×40.
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11, 30×40.
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12, 30×40.
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Les bêtes de Batz

J’ai beaucoup séjourné à l’île de Batz et ce n’est qu’à ma cinquième ou sixième visite que j’ai eu l’idée d’y consacrer un travail. Je le voyais comme la suite d’une série, parachevée entre 2021 et 2023, où des gravures anciennes de monstres marins étaient superposées à mes photographies de littoraux européens.
Pour ce dernier travail, j’ai utilisé six extraits du livre Histoires extraordinaires de l’île de Batz, publié en 2016 par Guy Boucher. Le dernier chapitre du livre est un récit d’anticipation qui relie le mythe fondateur de l’île aux problématiques du réchauffement climatique et imagine le territoire de l’île peuplé de reptiles gigantesques, issus d’expérimentations scientifiques hasardeuses. Ces bêtes font écho à ‘’mes’’ monstres tirés de l’Historia Monstrorum d’Ulisse Aldrovandi, le grand naturaliste bolognais du XVIe siècle.
J’ai reproduit ces monstres à l’acrylique rouge fluo, afin de leur donner un caractère encore plus irréel, confronté à l’aspect documentaire de mes photographies. J’ai utilisé la technique de la peinture sous verre, en transparence.
J’ai imprimé les extraits de Guy Boucher à même ma photographie, en police Courier et en une couleur pâle, qui s’estompe parfois dans l’image et n’est lisible que par bribes.

Voir aussi l’article critique de Nathalie Gallon dans 9live.com, janvier 2024.

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Les bêtes de Batz, 2023
Six travaux 24×42, tirage UVgel sur plexiglas, acrylique sur verre, cadre en plomb.

Les bêtes de Batz 01 Equus marinus (sold).
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Les bêtes de Batz 02 Aper Marinus
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Les bêtes de Batz 03 Humana facie
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Les bêtes de Batz 04 Niliaca Parei
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Les bêtes de Batz 05 Sus marinus
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Les bêtes de Batz 06 Andura Piscis
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Rovine nella selva (2023)

Si tratta della terza versione (febbraio 2023) di un lavoro vecchio di quasi dieci anni, mai mostrato in Italia, se non parzialmente (Confronto su Castro, 2018).
Mi sento piuttosto convinto della prima parte (Ruins in the Forest, series A), in cui sovrapponevo il testo dantesco del Purgatorio a foto di siti archeologici nella Tuscia.
La seconda (Ruins in the Forest, series B) mancava forse di qualcosa. Non mi bastava la sovrapposizione di mappe escursionistiche alle mie immagini di rovine e reperti ormai integrati nello spazio naturale. Mi pareva che un nuovo elemento  di artificialità fosse necessario, e credo di averlo trovato nell’apposizione delle lettere di una singola frase, Et in Arcadia [ego]. La Selva del Lamone non è l’Arcadia, certo, e SP non è Poussin. Diciamo che questo Rovine nella selva è un esercizio di imitazione.
Ho anche cambiato la carta topografica che costituisce il fondo dell’immagine: al posto di una carta escursionistica della Tuscia ho messo carte dell’Istituto Geografico Militare degli anni Cinquanta, il cui soggetto non corrisponde con i luoghi da me fotografati.


Rovine nella selva 01, Vallerosa, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 02, Fratenuti, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 03, Sutri, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 04, Rofalco, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 05, Pian di Civita, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 06, Poggio Conte, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 07, Norchia, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 08, Grotta Porcina, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 09, Castro, 2022, 30×40.
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Rovine nella selva 10, Vulci, 2022, 30×40.
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Nella selva antica

Da qualche anno lavoro sul tema della natura soggetta alla civiltà (e viceversa). Nelle fotografie che faccio in giro per l’Europa c’è sempre un elemento naturale che   predomina sulla compresenza di manufatti ridotti a tracce e segni.

Ho ripreso in mano Dante, in particolare i versi della Commedia in cui parla della selva antica, che non è altro che una rappresentazione del paradiso terrestre. Ho trattato in modo allegorico questo soggetto dell’Eden perduto e non ancora ritrovato; l’ho sviluppato in due serie di quadri, una serie A e una serie B, che mostro faccia a faccia.

La prima serie presenta dieci stampe digitali su vetro, in un formato 30×40 orizzontale (se affeziono questo formato quasi A3, è che mi fa pensare a un approccio da amanuense del lavoro artistico: “raccolto”, per non dire “ispirato”). Attraverso l’immagine resa in tal modo trasparente, si intravede il testo di Dante, il Canto XXVIII del Purgatorio, riprodotto su buona carta e in continuo, senza a capo. E’ questo il Canto in cui il poeta, accomiatatosi da Virgilio, si trova nel giardino delizioso da cui i primi peccatori sono stati cacciati; così perfetto questo giardino che anche gli animali ne sono assenti.

Elemento naturale ed elemento umano sono qui indiscernibili, fusi in quella che potrebbe essere una visione del mondo dopo il passaggio dell’uomo, un mondo tornato foresta primordiale. Non si sa se un pescatore di perle venuto da un’altra galassia potrebbe ritrovarvi le ossa divenute coralli, gli occhi diventati perle, neanche impiegando la tecnologia anti-scientifica preconizzata da Hannah Arendt: perforazione contro stratigrafia, nella necessaria distruzione del passato che permette di estrarne ciò che è “prezioso e raro”.

Di fronte a questa sequenza ho concepito un’altra linea di stampe su vetro, dello stesso formato; in questi lavori il fattore umano è più marcatamente presente. Si intravedono soprattutto vestigia monumentali, più “strutturate”, perdute nella natura, ancora riconoscibili anche se forse non più ricostruibili. Di là dalla fotografia si riconoscono carte topografiche ritagliate e rimesse insieme: potrebbero, o forse no, tracciare la localizzazione di questi improbabili paradisi terrestri.

Su ogni carta ho vergato una lettera, in carattere Bodoni: E, T, I, N, A, R, C, A, D, I, A, l’ultima I essendo raddoppiata dall’immagine di un bastone dipinto di rosso, affossato nel pavimento della ex cattedrale di Castro.

Mi provo a oscillare fra una certa “bellezza” dell’immagine e il suo carattere ammonitore. Niente vi cerco di spettacolare o di drammatico, ma penso aleggi da quelle parti una qualche inquietudine: un sentimento che ci accomuna e ci fa “umana cosa”.

Ciao ciao,

SP
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Serie completata il 30 aprile 2022.


Giovanni Francesco Barbieri (Il Guercino), Et in Arcadia ego, 1618-1622, dettaglio, Roma, Galleria Barberini.
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Nicolas Poussin, Et in Arcadia ego, 1637-1638, dettaglio, Parigi, Museo del Louvre.

 

 

Naples April-May 2023

Affreschi rinvenuti

Una mostra nella Sala Catasti dell’Archivio di Stato di Napoli
in dialogo con le pitture di Belisario Corenzio

Piazzetta Grande Archivio 5

Dal 28 aprile al 27 maggio 2023

Dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18, il sabato dalle 10 alle 13

Affreschi rinvenuti

Una proposta espositiva per l’Archivio di Stato di Napoli

Ciò che propongo alla direzione dell’Archivio di Stato di Napoli è allo stesso tempo un’investigazione da storico e un intervento d’artista. Secondo una pratica che mi è usuale, intenderei sovrapporre, alle immagini delle pitture di Belisario Corenzio recentemente riscoperte nella ex sala del Capitolo, riproduzioni di testi d’epoca e fotografie fatte da me. Su questi differenti strati apporrei interventi di colore.

Sarebbe il mio un approccio evidentemente personale: una stratificazione dell’opera riscoperta di Belisario Corenzio e del mio proprio lavoro. L’affresco di inizio Seicento, il suo stato attuale, quadri miei di dieci e trent’anni fa, la loro sovrapposizione alle foto degli affreschi, la visione nuova (una fra le tante possibili) del mio lavoro e anche di quello del pittore greco-partenopeo.

Potrei sviluppare questo dialogo in tre, quattro serie di quadri di medio formato (fra il 44×106 e il 32×44), per mostrare i quali occorrerebbero quattordici-quindici metri lineari, in un qualunque luogo all’interno dell’Archivio, purché le pareti siano chiare e adeguatamente illuminate.

Una serie Corenzio-Robinson: fotografie del restauro in corso stampate su vetro e sovrapposte a mie foto di spiagge incontaminate o quasi (nella mia pratica artistica uso spesso miei lavori passati, senza un rapporto esplicativo con le iconografie su cui intervengo).

Una serie Corenzio-Gulliver: dettagli degli affreschi prima del restauro, giustapposti a quadri miei antichi di trent’anni, ritagliati e rilavorati.

Una serie Corenzio-Hölderlin: la famosa lettera del poeta tedesco al suo amico Böhlendorf riprodotta su vetro: qui la sua distorta visione dell’antichità si accavallerebbe alla scialbatura gialla che copriva le pitture di Belisario.

Una piccola serie dalle fonti più miste: le riproduzioni dei pagamenti al Corenzio, o degli articoli critici ottocenteschi, sovrapposti a mie foto di soggetto “rupestre”: abbazie abbandonate e riprese dalla natura, romitori medievali, necropoli etrusche.

Il contrasto, e forse la confusione di queste sovrapposizioni mi paiono elementi interessanti da proporre al cortese pubblico dell’Archivio di Stato, che cerca piuttosto schiarimento e spiegazione dalle cose del passato. Il mio è un percorso d’artista: più che interpretazione o spiegazione, propongo dubbi e (spero fertile) confusione.

4 agosto 2022

 

 

Il pieghevole in consultazione alla mostra:
Affreschi rinvenuti pieghevole_SMALL

 

 

 

 

RnS, Rovine nella selva (2023).

This just-completed series is the culmination of a work I have revisited several times in recent years (2016, 2022). The hiking maps previously used as a background were replaced by military maps. A striking addition is the phrase “Et in Arcadia Ego” (Guercino, Poussin) spelled out in a succession of red fluorescent letters.
For the short text (Italian) accompanying the work in its entirety, see:
Rovine nella selva 2022.
This series follows an earlier one (2016-2017), which features sites in the same region (Tuscia, Latium) and plays with the relationship between image and text, and specifically Dante Alighieri’s Purgatorio XXVIII (“dentro alla selva antica…”):
Ruins in the Forest series A.


RnS 01, Vallerosa.


RnS 02, Fratenuti.


RnS 03, Sutri.


RnS 04, Rofalco.


RnS 05, Civita.


RnS 06, Poggio Conte.


RnS 07, Norchia.


RnS 08, Grotta  Porcina.


RnS 09, Castro.


Rns 10, Cuccumella.

 

 

La strada delle annurche, 2023.

La strada delle annurche Poesie (1973-2020) è il titolo della raccolta poetica di Marco Rossi-Doria, a cura e con una prefazione di Franco Vitelli, per le edizioni Studium di Roma (2023).

Gli inchiostri che accompagnano la raccolta datano della fine degli anni Ottanta, quando resi visita a Marco in Kenya, ove insegnava alla scuola elementare italiana. Li ho recentemente ripresi in una sorta di remix, quando mi ha chiesto di illustrare anche questo suo ultimo volume.

Dalla prefazione di Franco Vitelli:

NOTIZIA PER IL LETTORE

Il presente volume, sotto il titolo La strada delle annurche, raccoglie la produzione poetica di Marco Rossi-Doria strutturata in cinque sezioni che occupano lo spazio-tempo che va dal 1973 al 2020. L’autore, in verità, ha fatto un uso parsimonioso dell’espressione in versi e ha mostrato sempre una certa ritrosia nei confronti di un lavoro di sistemazione; ha dovuto cedere, infine, alle insistenze esterne che reclamavano la bontà dell’iniziativa.

Di ciascuna sezione, con titolazione d’autore, se ne dà in seguito notizia specifica, qui basti accennare al fatto che il libro raccoglie in successione cronologica poesie edite e inedite, riuscendo così a dare una fisionomia intera. 

Terra di nessuno comprende 16 poesie degli anni 1973-1983. Esse sono già riunite in una plaquette in carta d’Amalfi pubblicata a Napoli da Forum nel 1984 in 239 esemplari numerati, con 4 acquerelli di Salvatore Puglia. La poesia Generazione è stata anche pubblicata in «Linea d’Ombra», febbraio 1989, p. 64. Rispetto alla plaquette, nella versione odierna l’autore ha apportato alcuni cambiamenti riguardanti la diversa misura dei versi, l’aggiunta o sostituzione di titoli, l’eliminazione di una poesia e di alcune dediche.

Il poemetto Laerte è stato composto tra il 1983 e il 1986 e pubblicato da Cesare Garboli su «Paragone/Letteratura», ottobre 1987, pp. 8-29.

Su proposta di Michel Deguy, Laerte è poi uscito su Po&sie (n. 47, 4° trimestre 1988), tradotto in francese da Caroline Peyron.

Giallonapoli riunisce 27 poesie scritte tra il 1984 e il 1988.

Di queste, tre (La dimora distante, Altri venuti (diverso titolo di Ziggurat), Giallo napoli) sono state stampate a Strasburgo nell’autunno del 1987, con grafica di Philippe Poirier, in un quaderno in carta da imballaggio in 349 copie numerate, titolato Giallo Napoli. Qui erano presenti anche poesie di Salvatore Di Natale e Pasquale Sica, con cinque inchiostri di Salvatore Puglia e un testo di Fabrizia Ramondino.

Nello stesso anno, sempre a Strasburgo, altre dieci poesie, in versione italiana e francese  – Port Bou, mezzogiorno, Selene e le sue compagne, non è la collera Eterna, mé at cori (diverso titolo di Balsamo), PilatoEstremo, Il fantasma nelle stanze (con testo ridotto), il geco che rivedo, da aggiungere  – sono apparse in edizione numerata in 100 copie (Dix poèmes de Marco Rossi-Doria), su carta povera, con disegni di Philippe Poirier.

 

 

 

Un camp d’internement dans la garrigue. Saint Nicolas, été 1940.

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Le Camp Saint Nicolas.

Comme on le sait, une stèle est la statue d’un lieu. Elle le constitue en point de repère de la mémoire historique, comme une épingle sur une carte d’état major.

Un lieu en manque, et l’on ne devrait pas tarder à l’en pourvoir : le camp d’internement de Saint Nicolas, situé dans les limites administratives de la commune de Sainte Anastasie du Gard et de celles de Nîmes, à l’intérieur du terrain militaire des Garrigues (actuellement géré par le 2e Régiment étranger d’infanterie), à proximité du croisement des routes qui relient Nîmes, Uzès et Poulx (départementales 979 et 135).

Dans le terrain militaire des Garrigues (près du Mas de Massillan) existait déjà un camp, ouvert depuis janvier 1940 pour environ 200 « étrangers hostiles » (surtout allemands et autrichiens), et qui hébergeait déjà autant de républicains espagnols (1). Quelques kilomètres plus au nord, le long de la route départementale qui relie Nîmes à Uzès (dont le trajet a changé depuis) et à proximité d’une ferme désaffectée, existait un grand terrain plat. C’est là où arrivèrent, le 27 juin 1940, après cinq jours d’un tragi-comique périple en train et d’une marche à pieds de quinze kilomètres, environ 2000 détenus provenant du camp des Milles. (2)

Les conditions de vie y étaient rudes. Les internés, logés dans une centaine de tentes « marabout » pourvues d’un sol en paille, souffraient du mistral, de la chaleur, des insectes, de la dysenterie et de l’angoisse d’être livrés aux nazis (la commission Kundt, chargée du recensement et de la sélection des internés de guerre, fut active peu après la signature de l’armistice et se présenta effectivement début août).

Le commandement du site siégeait dans les bâtiments du Mas Saint Nicolas, qui était peut-être un ancien relais de poste, et dont aujourd’hui ne subsistent que quelques murs en ruine. Le camp fut fermé à l’automne 1940.

Certains s’enfuirent (l’écrivain Lion Feuchtwanger, le peintre Max Ernst) ; d’autres en furent libérés (Franz et Ulrich Hessel, le père et le frère de Stéphane) ; au moins un fut reconduit en Allemagne (3) (naturellement, la plupart de ces prisonniers étaient des Krieghetzer, soit des opposants et/ou des juifs).

Deux tableaux du peintre Henry Gowa, lui aussi interné, La marche de Saint Nicolas et Les naufragés, témoignent de cette expérience. Lion Feuchtwanger et Max Ernst la décrivent dans deux livres. Le galeriste Alain Paire et l’historien André Fontaine ont publié des travaux de recherche. Des informations fragmentaires se trouvent dans les biographies des personnes ayant séjourné dans ce camp de la garrigue (4), ainsi que dans les sites web consacrés à la déportation.

Mon propos est de parler de ce lieu, pour qu’on en connaisse mieux l’histoire, et pour que – éventuellement – un signe de mémoire y soit apposé.

(juin 2016)

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(1)
“CAMP DES GARRIGUES
II est situé dans le vaste terrain de manoeuvres militaires du même nom à 10 km au nord de Nîmes et jusqu’au bord du Gardon. Ouvert en janvier 1940 pour 200 détenus millois, il est contigu à un autre camp réservé aux deux cents réfugiés espagnols qui ont eux mêmes monté leurs baraquements en parpaings après avoir souffert du fort mistral tout le temps qu’ils ont vécu sous la tente. Ils cèdent une maisonnette aux Allemands qui, en attendant, en sont réduits à s’entasser et à en construire une deuxième le plus rapidement possible.”
André Fontaine, « Quelques camps du sud-ouest (1939-1940) », Recherches régionales n.104, 1988.

(2) Le 22 juin 1940, une semaine après l’entrée de l’armée allemande à Paris et le jour même de la signature de l’armistice, les internés antinazis du camp de Milles obtinrent d’être déplacés en train à Bayonne, dans l’espoir d’y trouver un navire pour s’échapper. Ils en furent refoulés, sur un malentendu quant au mot « allemand » et probablement on trouva en toute hâte la solution provisoire du camp des garrigues.

(3) Anne Grynberg, « Les camps du sud de la France : de l’internement à la déportation », Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, N. 3, 1993, p. 562.

(4) Entre autres : Max Ernst, Franz Hessel, Ulrich Hessel, Lion Feuchtwanger, Wols (le peintre et photographe Alfred Otto Wolfgang Schulz), Henry Gowa, Adolf Lekisch, Golo Mann, Alfred Frisch, les peintres Max Lingner et Eric Isenburger. D’autres et nombreux noms sont répértoriés dans le journal de Lion Feuchtwanger et dans les notes à l’édition allemande du Diable en France (Der Teufel in Frankreich, Berlin 2000), ainsi que dans les liasses des archives départementales du Gard, et plus précisément dans les rapports de police qui documentaient les évasions du Camp Saint Nicolas (voir images en fin d’article).
Voir aussi Sophie D’agostino, Les Juifs dans le Gard durant la seconde guerre mondiale, Mémoire de maîtrise d’histoire contemporaine, Université Paul Valéry de Montpellier, octobre 1993, où une large place est donné au témoignage de l’interné (par la suite résistant) Alfred Frisch.

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02 Entre Nimes et le Gardon

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Henry Gowa :
03 Gowa La marche

Henry Gowa, Les naufragés :
04 Gowa Les naufragés

La tente “marabout” :
Camp Massillan 02

Relâche de Ulrich Hessel :
06 Entlassung Ulrich Hessel
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Probable emplacement du camp, quelques dizaines de mètres à l’ouest du Mas Saint Nicolas :

A environ 1 km, le croisement des D979 et D135 :12-Croisement-D-979_135

Deux articles d’Alain Paire :
Paire sur Gowa
Paire sur Ernst

Deux liens sur ce sujet:
Ce même article de mon site, paru dans Médiapart en juin 2016 dans une version plus ancienne et moins détaillée.
Une émission radiophonique réalisée par Dominique Balay pour France Culture en 2017.

La suite de mes démarches:

Retour sur les lieux, mars 2018

Feuchtwanger, 2022

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Et encore :

Un article de Jean-Jacques Salgon paru dans La nouvelle cigale uzégeoise en 2018.

Et, dans la même revue, un article de François-Guy Abauzit (mai 2010).

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Un texte de Marie-Paule Hervieu sur Feuchtwanger (extraits)

Lion Feuchtwanger, après avoir habité Sanary, lieu de rencontre d’intellectuels allemands antifascistes en exil, est interné au camp des Milles en 1939 et 1940. “Le train-fantôme” évacuant les détenus devant l’avance allemande, suscite la rumeur que “2000 boches” allaient arriver à Bayonne, ce qui provoque leur retour et leur internement au camp de Saint-Nicolas, près de Nîmes, d’où Feuchtwanger s’évade déguisé en femme. Il vit caché chez le vice-consul américain à Marseille, en attendant que Varian Fry le fasse passer en Espagne avec sa femme Marta…
(…)
Le troisième internement, dans le camp de tentes de la ferme Saint Nicolas, près de Nîmes, en zone non occupée. À quinze kilomètres, dans la montagne, les conditions de vie des deux mille internés sont moins rudes : si le camp est « ouvert », dans la mesure où les barbelés et les soldats de garde n’interdisent pas les descentes à la ville, de même que les visites de membres de la famille – Lion Feuchtwanger y a reçu la visite de sa femme évadée de Gurs pendant quatre jours –, le camp n’en reste pas moins surveillé et les évadés sont recherchés et ramenés par la gendarmerie française. Les corvées sont multiples, les latrines inexistantes, les moustiques abondent et la dysenterie menace, Lion Feuchtwanger en a été atteint et est resté quelques jours en péril de mort. Et surtout « le désespoir se faisait de plus en plus fort au milieu de cette ambiance de foire », avec des trafics en tous genres. Ce qui nous rongeait, ce n’était pas seulement le danger, on ne peut plus tangible, de la clause d’extradition, c’était aussi cette inactivité forcée, l’absurdité apparente de notre séjour dans le camp. On tournait en rond, on bavardait, on parlait toujours des mêmes choses, et l’on attendait de tomber malade ou d’être livré aux nazis » (page 256). L’obsession de ces hommes était donc d’être libérés ou, à défaut, de récupérer leurs papiers et de gagner Marseille.
L’évasion et le sauvetage. C’est dans ces conditions qu’avec l’aide de sa femme et du consulat américain de Marseille, Lion Feuchtwanger s’évade, habillé en dame anglaise. Revenus et cachés à Marseille, Lion et Marta Feuchtwanger empruntent la voie de terre, en traversant à pied les Pyrénées, puis ils gagnent Barcelone et prennent le train pour Lisbonne. Lion s’embarque pour les États-Unis sur l’Excalibur et débarque à New York le 5 octobre 1940, Marta le rejoint 15 jours plus tard, ils sont sauvés.

Note février 2023 : pour la précision, ce fut le vice-consul américain à Marseille, Myles Standish, qui attenda Lion Feuchtwanger en voiture diplomatique aux alentours du Camp Saint Nicolas, le dimanche 21 juillet 1940, et le ramena à Marseille, où l’écrivain fut hébergé par l’autre vice-consul, Hiram Bingham IV, avant que l’on organise, peut-être avec l’aide de Varian Fry (arrivé à Marseille le 14 août), sa fuite vers les États Unis :
Bingham worked with Fry on notable cases, including the emigration of Marc Chagall, political theorist Hannah Arendt, novelist Lion Feuchtwanger, and many other distinguished refugees. In the case of Feuchtwanger, Bingham went so far as to help spirit the novelist out of an internment camp and sheltered him in his own house while plans were made to help the refugee walk over the Pyrenees (https://en.wikipedia.org/wiki/Hiram_Bingham_IV).

Il faut aussi citer le rôle de Nanette Lekisch, épouse d’un médecin de Mainz interné aussi aux Milles et à Saint Nicolas, surnommée par la suite “l’ange de Nîmes”, qui guida Standish le jour de l’évasion de Feuchtwanger (voir le seul ouvrage qui à ma connaissance lui est consacré : https://www.hentrichhentrich.de/buch-moppi-und-peter.html).

Feuchtwanger, avec les autres 2000 allemands et autrichiens et apatrides (déchus par Hitler de la nationalité allemande) était arrivé au Mas Saint Nicolas le 27 juillet 1940, au bout du périple qu’il décrit dans le Diable en France et d’une longue marche dans la garrigue. Il sera bientôt au courant de l’article 19 de l’armistice qui venait d’être signé le 22 juin :
Article 19.
Tous les prisonniers de guerre et prisonniers civils allemands, y compris les prévenus et condamnés qui ont été arrêtés et condamnés pour des actes commis en faveur du Reich allemand, doivent être remis sans délai aux troupes allemandes. Le Gouvernement français est tenu de livrer sur demande tous les ressortissants allemands désignés par le Gouvernement du Reich et qui se trouvent en France, de même que dans les possessions françaises, les colonies, les territoires sous protectorat et sous mandat.

Il faut penser que la plupart des Krieghetzer avaient choisi de quitter le camp des Milles et s’étaient retrouvés à Saint Nicolas, alors que les allemands non-opposants n’avaient pas pris le fameux train de Bayonne :

(D’après Jacques Grandjonc L’émigration allemande (1933-1945) et les camps d’internement (1939-1944) dans le sudest de la France, Amiras-Repères-Revue occitane, 1984, n° 8, p. 5-17).
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Pour aller vite, je me borne à suggérer une très bonne bibliographie sur l’internement en France entre 1939 et 1945 :
https://criminocorpus.org/fr/outils/bibliographie/consultation/themes/14621/
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La remarquable recherche de l’Association philatélique du Pays d’Aix :
(http://appa.aix.free.fr/camp/pages/camp02.html) qui a été publié dans :
Guy Marchot, Lettres des internés du camp des Milles (1939-1942), préfaces d’Yvon Romero et Alain Chouraqui, L’Association Philatélique du Pays d’Aix, B.P 266, 13608 Aix-en -Provence cedex 1.

21 juin (1940)
2010 internés arrivent à arracher à l’état-major de Marseille la décision qu’un train les emmène à Bayonne. On leur restitue documents et argent déposés lors de leur arrivée au camp.
Dans la nuit, suicide au camp de l’écrivain Walter Hasenclever.

22 juin
Signature de la convention d’armistice qui entre en vigueur le 25 juin.
Le “train fantôme” part en direction de Bayonne via Arles, Sète, Tarbes, Lourdes, Pau. A Bayonne il rebroussera chemin vers Nîmes.

lettre Milles

Enveloppe + 2 lettres 24.6.40 :
. cachet à date “Les Milles Bouches-du-Rhône 18 30 . 24-6-40”
. cachet “Service de garde des étrangers – Le Vaguemestre”
. manuscrit “F. M.” (Franchise militaire)
. manuscrit : l’adresse de l’expéditeur : Médecin Capitaine P… Camp des Milles prés Aix en Provence B, du Rh.”

A l’intérieur on trouve deux lettres du Médecin Capitaine, dont une fait allusion au “train fantôme”.

Le “train fantôme” arrive à Nîmes. Les détenus sont dirigés vers un camp de toile improvisé à Saint-Nicolas.

(…)

1er août
La commission de contrôle dirigée par Ernst Kundt inspecte le camp des Milles.

4 août
La commission Kundt inspecte le camp improvisé de Saint-Nicolas et en demande la fermeture dans les meilleurs délais.

(…)

23 octobre
Environ 300 internés du camp des Milles et de Saint-Nicolas sont transférés à Gurs.

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Aux Archives départementales du Gard
(Cabinet du Préfet 1940-1945, 1W 273), signalements d’évadés du Camp Saint Nicolas :

 

Aussi (avril 2023), deux cartes du cadastre napoléonien (1811 et 1970) où l’on montre le chemin parcouru par Feuchtwanger le jour de son évasion du camp, comparées au images actuelles issues de Google maps.
Le chemin rural n. 23 du Plateau Saint Nicolas, qui était l’ancienne route de Nîmes à Uzès et où la voiture du consulat américain a recueilli Feuchtwanger le dimanche après midi 21 juillet 1940, a été remplacé entre la dernière guerre et 1970 par la route nationale n. 579 d’Aubenas au Grau du Roi (devenue la départementale 979 en 2006-2007).


(Archives départementales du Gard, Cadastre Sainte Anastasie 1053W28-26)


J’ai marqué le site ou probablement Feuchtwanger, au retour de l’auberge de La chaumière, a rencontré Nanette Lekish qui  l’attendait, entre le camp et la bifurcation pour la ”baignade” de Font verte (remerciements à Jean Minier pour la communication de la carte d’État major).

L’arrivée au camp, ainsi que la vie qu’on y menait et enfin les vicissitudes de son évasion  sont bien racontés par l’écrivain allemand dans Der Teufel in Frankreich. Erlebnisse, Berlin 2000 (1982). Traduction française : Le diable en France, Paris 1985 (Livre de Poche 2012). Je réproduit ici la page de son journal relatant la journée du 21 juillet.

L’auberge La chaumière, à proximité du Pont Saint Nicolas, démolie en 2013-2014 :

 

 

 

Terra di nessuno, 1984.

This collection of poems by a dear friend, Marco Rossi-Doria, contains my first published artworks. Some of the watercolors illustrating the book were executed at Marco’s home on the Sorrento Peninsula outside of Naples, while others were done during a wintertime visit to Venise, on a pier overlooking the Island of the Giudecca.

 


(https://opac.bncf.firenze.sbn.it/bncf-prod/resource?uri=CFI0081055)

 

 

 

Mamotii, 1988-2004.

I lavori della serie Inchiostri-Mamotii sono stati eseguiti durante e al ritorno da due viaggi, in Kenya e nelle Cina meridionale. Presentano quindi due influenze incrociate, quella dei paesaggi africani e quella della pittura cinese. Il supporto usato è invariabilmente la carta da acquarello della Cartiera Amatruda di Amalfi, mentre i colori sono di ogni tipo: inchiostro da penna stilografica per la sua tendenza a diluirsi nell’acqua, caffè, laterite sciolta nella colla vinilica.

I Mamotii* sono figure indistinte, che rimangono larvali e non hanno ancora raggiunto una forma articolata. Potrebbe trattarsi degli alti termitai visibili lungo la strada del lago Turkana, oppure delle sagome dei nomadi che percorrono quella savana, oppure di personaggi mitologici. Per lo più, a suggerire un possibile dialogo fra questi personaggi di natura diversa, in ogni inchiostro figurano almeno due forme.

Negli anni ’90 ho declinato questi disegni in forme sculturali, con il piombo fuso nel tegamino in cucina e colato nelle forme scavate nel mastice da vetraio, oppure con il silicone trasparente da idraulico. Ho anche usato giri di stoppini incerati (Kerzendocht) comprati nei negozi di articoli religiosi in Baviera.

*Il termine mamozio (à la napolitaine) mi viene da un uso fra amici, quando di qualcuno si voleva dire che era un “diverso”, un qualcosa di informe e indistinto ma pure presente, un pò come i monacielli che abitano le vecchie grandi case e gli hunchback inglesi e i gobbetti tedeschi (di cui parla Hannah Arendt nel suo saggio su Walter Benjamin), e quelli che mi sono permesso di ribattezzare Odradek, in un lavoro dal titolo La preoccupazione del padre di famiglia.
Pare che l’espressione venga dalla statua di un Mamotius, ritrovata a Pozzuoli su un sito soggetto al bradisismo, scultura tutta mutilata e forse corrosa dalle emanazioni sulfuree.

 

Nîmes January-May 2023



Quatre écrivains dans la garrigue

Ceci n’est pas à proprement parler un travail artistique, bien que je me considère avant tout comme un artiste visuel. Il se situe entre recherche historique, critique littéraire et création.

L’inspiration pour cette série d’images sur le territoire des écrivains me vient de la lecture d’un texte littéraire, Le Dépaysement. Voyages en France de Jean-Christophe Bailly.

Le chapitre sur Nîmes, « Castellum aquae », débute par la définition que Francis Ponge faisait de lui-même : poeta neamusensis. Or, pour un écrivain d’origine nîmoise, ayant passé toute sa vie ailleurs, cette affirmation ne peut tenir qu’à une très grande force symbolique de l’image de cette ville.

Il est évident qu’elle vient de l’héritage de la romanité, de son autorité historique, mais il y a peut-être autre chose. La langue latine, ses dérivations méridionales, l’occitan et le provençal, le fait de se considérer dépositaire et interprète de ce legs.

Jean Paulhan, issu d’une famille cévenole, lié à Ponge par d’étroits rapports de parenté ainsi que par une forte relation intellectuelle, se voulait descendant d’un Paulianus, consul à Nemausus au début de l’ère chrétienne. Les lettres et les dessins envoyés à ses parents depuis le ‘’masé’’ du grand-père sont les documents que j’ai voulu accompagner par l’image.

J’ai donc commencé à parcourir les lieux que ces écrivains avaient sans doute parcourus, à la recherche de vestiges à photographier.

Des dessins de Norah Borges, peintre et sœur de l’écrivain argentin Jorge Luis Borges, m’ont amené aux jardins de la Fontaine et à la relecture de Fictions. L’une des nouvelles de ce recueil, Pierre Menard, auteur du Quichotte, porte en exergue la date Nîmes 1939, alors que, certainement, l’auteur argentin se trouvait à Buenos Aires à ce moment-là. D’ailleurs, toute son œuvre, à l’instar de la nouvelle en question, est un tissu d’embûches dans des méandres historiques et littéraires. Ce qui est avéré, est qu’il avait séjourné dans le Midi et à Nîmes à plusieurs reprises.

J’ai justement utilisé sa technique pour mon propre travail, en plaçant des légendes sous des images de lieux qui ne leur correspondaient pas, ou en brouillant les reproductions de textes et les fonds visuels que je leur avais associés.

Une peinture d’Henry Gowa, La marche de Saint Nicolas, m’a amené sur l’ancienne route départementale entre Nîmes et Uzès. J’ai utilisé le journal de l’écrivain allemand Lion Feuchtwanger, l’auteur du Juif Süss, interné pendant l’été 1940 dans le Camp Saint Nicolas, pour accompagner mes photos de ce qui reste de ce camp et des traces de mémoire, dérisoires peut-être, que j’y ai laissées.

Enfin, les cartes d’état-major qui constituent l’arrière-plan de ces tableaux ne correspondent pas au Camp des garrigues, l’épisode ‘’vichyste’’ (avec son article 17 de l’armistice) n’étant pas unique en Europe. Elles décrivent ici des lieux situés dans les alentours de Rome, ville dont je suis originaire et dont je ne peux pas refuser l’héritage.