2016
Bestiaire. Un expositoire.
Mi coincidono, in questo momento, due delle frequenti calamità dell’artista: la mancanza di un pubblico e, molto più cocente, l’assenza di un interlocutore intellettuale. A ciò si aggiunge il mio sequestro (cui accondiscendo) da parte della famiglia e quindi il fatto di non appartenersi più. E poi: se si crea, lo si fa sempre, lo si dica o no, “contro” qualcosa. Dal novembre scorso una banda di delinquenti di periferia ha occupato tutto lo spettro della vita sociale e occultato i ben altri problemi contro i quali varrebbe la pena insorgere. Siccome non è contro di loro che varrebbe, ebbene, mi trovo paralizzato. Avrò fatto un’arte contro mio padre, contro il fascismo, contro il capitalismo e la distruzione che comporta; ma non ha senso per me fare arte “per” qualcosa o qualcuno; neanche per me, neanche per i figli.
C’è un personaggio di teatro di strada, Monsieur Culbuto: l’attore, rivestito di un mantello di cuoio e la testa coperta da un casco d’aviatore della prima guerra mondiale, sta in piedi su una semisfera di cemento ed è probabilmente, sotto il mantello, imbragato in un’intelaiatura metallica. Ruota e si sposta fino ad arrivare al livello del suolo con la testa, ma mai cade; in qualche modo, sfruttando la forza centrifuga, risale, ma rimane brevemente eretto, perché presto una nuova spinta lo ributta giù; finché un inserviente arriva, inforca la semisfera con un carrellino da pancale e se lo porta in un’altra piazza, a portare paura e stupore ad altri passanti.
L’antichità è il soggetto del mio lavoro; m’interessa come un’allegoria della sopravvivenza acrobatica e deambulatoria del nostro presente, il nostro “vivere alla giornata”.
In questo senso le immagini sottratte al passato, sulle quali intervengo, sarebbero l’equivalente delle citazioni in letteratura: dovrebbero avere in sé una forza che le strappa al proprio contesto e le rende disponibili a ulteriori – e libere dal contesto – citazioni. Perché la questione non è tanto la conservazione, quanto l’uso dei frammenti del passato come amuleti o talismani del nostro erratico avanzare.
I monumenti del passato, anche allo stato di rovina, danno l’immagine della staticità e della permanenza; oppongo loro l’immagine dell’instabilità e della precarietà.
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2021
Del tentativo di storicizzare il presente.
Del (vano) tentativo di storicizzare ciò che si vive. Oppure: il passato del presente.
Depuis l’achèvement du travail sur le XXe siècle, je songe à en commencer un sur ce siècle, avec peut-être des ombres blanches ou bleues ‘’Klein’’. Mais je n’y arrive pas vraiment. Il est difficile d’historiser le présent en le vivant avec du recul et du sang froid, même filtré par un certain oubli nécessaire à toute création artistique. Ça serait un travail sur le passé du présent ?(…) Sinon, je ne suis pas un « sauveur/salvatore », juste un ami qui aime vivre avec tes transparences, fulgurances et résonances. Elles déjouent les dimensions, diffractent le réel et traversent le temps. Ton œuvre incarne ce présent du passé dont j’ai fait mon talisman.
(Scambio epistolare con Edwy, febbraio 2021)
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2023
C’è stata un’epoca in cui avrei voluto essere il continuatore di Chandler. Un’altra in cui ho tentato di continuare Sebald. Oggi vorrei solo mettere insieme me stesso. Non sono un genio, quindi non posso permettermi altro che rifugiarmi nella produzione di qualche oggetto artistico, una volta che mi sono occupato della famiglia. Fossi stato un genio, avrei messo lì sopra un lavoro alimentare per me e per loro.
A fine mattinata cerco di non tornare dal lavoro prima delle 11, per non iniziare a bere troppo presto. Poi diventa un’allegria cucinare per i figli che rientrano dalla scuola per la pausa pranzo.
Sigaretta, masturbazione, vino rosso. La ricetta di RV sarà sufficiente per tamponare le altre mancanze? Direi che fumo, alcool e caffè potrebbero bastare, perché aiutano la creatività, che pare attualmente l’unica difesa dell’amor proprio ferito.
Mi sono messo su Instagram. Ogni volta che lancio qualcosa una quarantina di persone la vedono e una quindicina ci mette un cuoricino. Anche se per i followers è un gesto meccanico, questo cuoricino mi scalda e mi incita a chiederne altri.
Non ho mai avuto un rapporto di fusione o di devozione. Con nessuno. Mai. A meno che difronte a me non ci fosse un malato.
Non posso tenermi informato sul Covid, sulla guerra russo-ucraina o sulla situazione politica in Italia: non posso sottrarre energia mentale al mio lavoro e alla cura dei figli. L’altra questione, ossessiva e centrale, rimane in standby.
La furia dell’archiviazione. Entusiasmato dal mio proprio passato.
Vivo nel futuro postumo, il futuro che è già stato, il territorio delle occasioni mancate.
Quando aprivo il frigorifero al mattino, meccanicamente, casomai qualcosa ci fosse cresciuto dentro e, trovandolo immancabilmente vuoto, prendevo un caffè a digiuno. Ora per prima cosa al mattino apro al computer la pagina della banca, casomai qualcuno avesse messo qualcosa nel mio conto.
I dodici happy few che mi considerano un buon artista. Hannah Arendt, quando parla della fama. Büchner, quando parla della fame. Torno alle mie originali intellettuali.
Laputa di Lasalle.
Lasciare è bene, ma per andare verso qualcosa, che sia anche La Puta di Lasalle, mera immagine di un luogo conviviale.
Una mostra a Napoli.
L’aereo è partito in ritardo da Marsiglia, arrivo a Capodichino con un’ora di ritardo, quasi all’una. NHSP parte a sua volta per Parigi nel primo pomeriggio e per non mancarla prendo un tassì, anche perché la valigia carica di quadri incorniciati di piombo pesa troppo per trascinarla a piedi dalla stazione fino a via dei Tribunali. Il tassista è giovane, non sa niente di Napoli nel 2001, il dialogo non va lontano. Non rinuncio a mostrargli gli angoli dei palazzi edificati con le pietre della cinta muraria greca, gli spiego come si riconoscono le pietre dell’epoca greca e gli spiego anche il significato di Neapolis ma è evidente che non gliene importa nulla.
Da NHSP c’è la sua amica tedesca; è ora di pranzo, mangiano pane e burro e me ne offrono.
Sopravviene una giovane avvocata parigina, che ha preso un anno sabbatico dopo aver seguito il processo dell’attentato di Nizza, che fece un’ottantina di morti e varie centinaia di feriti. Sento il suo nervosismo dietro la sua aria allegra e una distanza ostentata. Indovino i tatuaggi che la coprono e che mi ostino a considerare segni di squilibrio mentale nelle persone che se li fanno fare.
Dopo la partenza delle tre donne, finisco il pane rimasto in cucina, aggiungendo al burro alici sott’olio trovate nel frigo. Scolo i fondi di varie bottiglie d’alcol poggiate da tempo sopra al frigo, a giudicare dalla polvere che le copre: whisky Lagavulin, amaro Averna, Martini rosso, Campari. Le ricomprerò domani. Ricomprerò anche il pane.
Una certa sonnolenza mi prende. Mi stendo per cinque minuti che si automoltiplicano per dieci. Esco per prendere la Cumana direzione corso Vittorio Emanuele e per strada cerco il miglior posto per mangiare una frittatina, ne trovo infine uno accettabile a Montesanto, mangio la frittatina affrettandomi al treno.
Non sono da Claudio prima delle cinque di pomeriggio. Ci si mette a spostare mobili e a smontare quadri. Mi cucina pasta con la zucca, mentre scendo a comprare una birra e una vaschetta di friarielli. Poi mi riaccompagna in macchina ai Tribunali.
Chi si interessa di storia è, comunque, qualcuno che pensa ancora possibile salvare qualcosa.
Una giornata allo studio: caffè, sigaretta, birra, attesa.
“La Morte è morta”! Pulcinella che convince la Morte a impiccarsi. È L. che si è ricordato del teatro dei burattini visto insieme. La Morte si infila la testa nel cappio, per far vedere a Pulcinella come ci si impicca (‘’tanto tu sì già morta!’’): vedi Perché Pulcinella.
Il mio primo atto artistico – e allo stesso tempo politico – fu un manifesto appeso sulla facciata della parrocchia dei SS. Protomartiri a Roma. Vi si vedeva il viso di una giovane africana, sfigurato dalla lebbra. Avevo dipinto il manifesto di un rosso trasparente e vi avevo scritto: ‘’ Lei non usa Kaloderma’’. Tuttora non so se non usava il cosmetico perché non le serviva o perché non poteva permetterselo. Ricordo che la mia intenzione era invitare a dare soldi agli africani malati piuttosto che all’industria farmaceutica. Credo avessi quindici anni. Quindi era il 1968. (anche in La vita di prima, quadri)
Sugli anni Settanta e il fatto che negli scontri in genere vincevano i fascisti anche se erano meno numerosi. Avevano evidentemente un coraggio fisico superiore al nostro. Era il nostro lato femminile, credo, che ci impediva di essere davvero cattivi. Come quella volta che avevo un fascista, più vecchio di noi, incastrato fra due macchine in sosta, e io gli stavo sopra con la sbarra di ferro alzata e mi sono girato e sono tornato nella mischia. E mi dico che è stato questo lato femminile, l’idea di un ‘’valore della vita’’ che, qualche anno dopo, ha fatto che né io né i miei amici stretti abbiamo aderito alle sollecitazioni abbastanza esplicite di quelli fra di noi che stavano scegliendo la strada militare, tecnica, per l’accesso al comunismo.
Anche l’affermazione, che mi dispiacque, di una parigina incontrata forse nel 1980, secondo la quale – per esperienza diretta – quelli di destra facevano l’amore meglio di quelli di sinistra, rientra in quest’immagine di una ‘’malattia dell’umanesimo’’ che non poteva portarci molto lontano.
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2024
Novembre.
Cerchiamo di vivere alla giornata. Affronteremo quando ci sarà da affrontare. Temo che non abbiamo i margini per prevenire.
Se possibile facciamo riserve di vino buono. Io per il momento non posso. Forse dopo la presentazione a Parigi.
F. ciao. Philippe Descola ti risulta? Insegna ancora al Collège de France. Mi pare l’ultimo pensiero praticabile nel poco margine che ci è rimasto per pensare qualcosa di diverso. Rivede radicalmente l’idea stessa della natura, inventata dalla modernità. E dice l’importanza di questi esperimenti radicali come le zone occupate a Nôtre Dame des Landes (progetto d’aeroporto intergalattico bloccato con successo, zona umida con grande biodiversità grazie proprio alle espropriazioni per fare l’aeroporto iniziate già sessant’anni fa).
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2025
Febbraio.
Se te li sogni la notte, quelli sono mostri.
Marzo. Potrebbe essere una buona vita. Li tiri su la mattina alle 7 e 15, trovano il pane grigliato e il latte caldo. Quando sono usciti per la scuola rifai i letti e lavi le tazze, come Sophia Loren in Una giornata particolare. Poi disponi di un paio d’ore per lavorare, andare allo studio a finire un quadro, preparare una stampa da spedire al tipografo. Un giorno su due tornano a pranzo, affamati. Occorre che a mezzogiorno e dieci la pasta sia in tavola, e con la pasta uova, o pesce, o carne, e verdura. Ti occorre un’ora di preparazione per fare qualcosa di decente.
Il pomeriggio ne accompagni uno al tennis, o al piano, oppure sono tornati a scuola e puoi ritornare allo studio. Alle cinque rivengono, ci deve essere qualche resto del pranzo per merenda, oppure pane e formaggio. Ti apri la tua bottiglia quotidiana, il vino rosso ci sta bene col pane e formaggio. Li lasci in pace fino all’ora di cena, hanno bisogno di distendersi o sul telefonino o sul computer. Spesso l’uno o l’altro ha voglia di cucinare, allora tocca andare al supermercato a comprare gli ingredienti. Poi c’è da convincerli a fare almeno i piatti o – a scelta – le posate.
Hai comprato un video-proiettore, se l’indomani non c’è scuola possono vedere un film sul muro. In genere non lo guardi con loro perché o è un cartone animato con i dragoni di plastica o uno sceneggiato televisivo americano in cui interminabilmente i protagonisti scappano di prigione e vengono ripresi appena prima che finisca l’episodio, o addirittura la crudele serie coreana Squid Game.
Ti metti nel letto presto, un po’ barcollante, con un libro che ti cade sul viso dopo neanche una decina di minuti. L’uno o l’altro viene talvolta a leggere vicino a te e finisce per addormentarsi anche lui.
Durante la notte ti alzi almeno un paio di volte, quando hai fortuna ti riaddormenti fino alle sei – sei e mezza. Se è giorno di scuola li svegli al solito orario, altrimenti attendi in cucina, con un paio di macchinette di caffè e un libro, oppure con il computer sul quale la prima cosa che cerchi è se qualcuno ti ha messo un cuoricino al tuo ultimo post su Instagram.
Questo è il panorama attuale.
Settembre. A. che rientra tutto infreddolito dal liceo (è cambiato da un giorno all’altro il tempo), scappandone per un’ora, e che m’incontra sul marciapiede, dopo avermi telefonato invano per a quattro riprese, e che dice ‘’lo sapevo che dio esiste!’’. Gli faccio un latte caldo col miele, lo metto a letto, rinuncio ad andare alla sede del PC a issare la bandiera palestinese per festeggiare il riconoscimento di ‘’una’’ Palestina.
Sono momenti difficili. Occorre raccogliere tanta energia anche per un piccolo gesto, ma occorre farlo. Non vedrò mai la riparazione delle ingiustizie del mondo, e non conoscerò un mondo non dominato dal principio di sopraffazione. Mi sarà vitale sapere di far parte di una grossa minoranza che si batte e fa quel che può.
Hai visto le manifestazioni in Italia? Mille chilometri di persone. E le navi per Israele bloccate dai lavoratori portuali? Oggi sono stato alla manifestazione per Gaza a Nîmes, ma sono sempre gli Insoumis e gli arabi, in Francia sono indietro e sono ancora pochi. In Italia le manifestazioni per Gaza significano manifestazioni contro il governo anche se, come in Francia, sono in nome de ”l’umanità”. Si sta assistendo a una polarizzazione politica che è anche linguistica e le due lingue non si capiscono più fra di loro.
E la cosa nuova, tante persone hanno capito che debbono andarci con il proprio corpo, cosi’ come hanno fatto quelli della flotilla e come fanno gli oppositori in Israele e negli US. Tocca rispolverare concetti desueti come il ”coraggio”.
E l’altra cosa nuova (a parte i concetti di ”cura”, ”attenzione”, ”ascolto”, che mi hanno convinto a partecipare alla campagna elettorale della sinistra) è che non ci si muove per se stessi ma per gli altri, altri e sconosciuti.
Histoire des monstres 43 ter, 2024, 24×42.
F., grazie per la commanda.
Ho fatto piccole modifiche, passato acqua di caffé e schizzato vino rosato. Ora mando jpg bassa definizione e pdf alta risoluzione. Pare che whatsapp rispetti la taglia dei pdf.
Potrebbe essere per me ragione di passaggio a Firenze, oltre che per firma Histoire des monstres 41 bis. Non si parlerà subito di soldi. Ma potrebbe ripagare soggiorno dell’autunno scorso alla frontiera spagnola e amo nella nuca di L., cinque minuti dopo la foto, con conseguenti sei ore al pronto soccorso di Perpignan e estrazione chirurgica con cicatrice tuttora palpabile (per ora nascosta da folta capigliatura, poi chissà).
Peraltro c’è lì un parco naturale subacqueo (fra Port Vendres e Cerbère) in cui nuoti letteralmente in mezzo alle orate e sinanco le cernie.
10 ottobre. Una cosa non ho capito nella conversazione con un vecchio amico con cui tanto abbiamo condiviso (per cui non ho voluto saperne di più). Mi ha detto che, cosi`come altri vecchi amici, non condivide tutto quest’entusiasmo intorno ai Propal. Io non so se si puo`avere la puzza al naso davanti a due milioni di italiani che per due anni hanno vissuto nel sentimento di impotenza e di solitudine, e che ora si trovano infine circondati da tanti altri che provano lo stesso bisogno di manifestare, nelle piazze pubbliche, semplici sentimenti umanitari. Forse non avevano la linea giusta?
Metà ottobre. Vado a Bologna con treni regionali per cercare casa a mia figlia. Dormirò a Nervi davanti al mare. Nelle sedici ore di treno che mi aspettano penso di disegnare su sughero tanti pulcinelli novi come se non avessi mai visto l’acquerello di Paul Klee e dovessi solo attenermi alla descrizione di Benjamin.
La solitudine anche ha bisogno di testimoni.

