Il mio programma artistico, da una quindicina d’anni a questa parte, è quello di riprendere la “nostra” storia attraverso un procedimento di trasformazione estetica.
Nel ri-presentare le immagini, trovate o create che siano, conferisco loro un’ombra. Questa è talvolta più leggibile delle immagini stesse, che sono sovrapposte e confuse, così come accade spesso nel lavorio della memoria.
Ma, più che un’arte della memoria, questo lavoro intende essere una fotografia della storia. Così come la nostra storia, esso si aggira nello spazio fra ciò che è perduto e ciò che rimane, fra ciò che è mostrato e ciò che resta celato, fra indizi reinterpretati e reperti frammentari. Il suo punto centrale è la convinzione che tanto la storia quanto le immagini non dovrebbero mai essere lasciate a se stesse, e che debbano essere sottoposte a misure radicali di metamorfosi.
Quanto al mio approccio metodologico, esso consiste nel mettere in relazione un determinato soggetto con un determinato materiale, lasciando all’espressione dell’uno e dell’altro, all’interno di una cornice formale costrittiva, una certa casualità di combinazione.
All’inizio, le lastre radiografiche ritagliate creavano sui documenti originali un gioco d’ombra e di luce, di trasparenza e d’opacità che tendeva a ingannare l’inevitabile saturazione dell’immagine.
In seguito ho riprodotto gli stessi documenti su supporti trasparenti, semplici fogli di acetato. Li ho sovrapposti ad altri documenti, che “non hanno niente a che vedere”, o a vecchi lavori personali, ritagliati, ridipinti. Ho nascosto queste immagini sotto griglie metalliche, fra due vetri, le ho allontanate dai muri, perché una qualunque fonte di luce le trasformasse in ombre.
Nell’ombra ritrovavo il primo stadio della riproduzione. E nella riproduzione ho continuato a lavorare: utilizzando materiali d’industria quali le gelatine, il PVC, gli acrilici fluorescenti intendevo sottrarre all’icona la sua originalità, la sua aura, presentandola come un simulacro. Inoltre questi materiali mi permettevano di trasfigurare un soggetto triviale, oppure di banalizzare un soggetto roboante.
Se la riproduzione funziona come un arnese di conservazione, ciò va insieme con una necessaria perdita. Essendo in ogni modo persa l’immagine primaria, rimangono le infinite possibilità di ricrearla con la nostra immaginazione.