Lavori recenti (2010-2012)

Robinson a Rosignano, 2011

Spiagge idilliche, di sabbia anormalmente bianca, immagini da cartolina. Sul fondo, un’escrescenza industriale. In sovrapposizione, incisioni tratte dal Robinson di Defoe, eroe illuministico, che sbarca sulla sua isola incontaminata. E, riprodotte con colori da vetro, tavole con reperti di scavi archeologici in Groenlandia e graffiti rupestri del Nevada. Non c’è nessun rapporto – se non autobiografico – fra i diversi strati. Eventualmente, un richiamo alla storia dell’arte: i Capricci grotteschi di Piranesi, i Paesaggi con rovine del primo Romanticismo.

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Marmo, 2011-2012

L’autunno scorso ero sceso in Italia per fare fotografie sul tema della natura sfruttata dall’uomo. Intendevo costituirmi uno stock di immagini su cui lavorare durante l’inverno. Il viaggio fu un fallimento dal punto di vista lavorativo, perchè era il momento delle grandi piogge e inondazioni in alta Toscana, e ne sono uscito solo con quattro fotografie, fatte in mezzo alle nuvole, alle cave di Carrara. Poi ci fu un passaggio in Maremma, a San Bruzio, ove il marmo è fissato in uno stato intermedio, di rovina conservata, non più minacciata dalla natura, anzi circondata dalla cultura, quella dell’olivo. Il ritorno in Francia, essendo le autostrade liguri interrotte, fu laborioso, con deviazioni per l’Appennino e la pianura padana, e qualche altra foto: a Modena, le immagini della civiltà che ci fonda come Italiani, le statue della cattedrale, le foto degli uomini della resistenza, “a perenne ricordo”. Le ho qui sovrapposte a quelle di Carrara.

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Rupestri, 2011-2012

Da un pochino mi interesso al soggetto “rupestre”: la natura utilizzata dall’uomo per farne opera, che riprende i suoi diritti non lasciando l’opera dell’uomo che sotto forma di traccia. La Tuscia è piena di questi luoghi; è come se non solo civiltà e abbandono si succedessero a ondate secolari, ma l’una fosse la condizione dell’altra. E sono le attività dell’uomo solitario che lasciano – o lasciano immaginare –  le impronte più inconsuete. L’estate scorsa ho visitato il romitorio di Poggio Conte, luogo di malagevole accesso. Era talmente buio che facevo le foto al flash, e solo allora vedevo per un attimo il mio soggetto; cosi’ ho mancato la vela più interessante, quella con i segni falllici (o mi sbaglio?); cosa ci facevano in un santuario cistercense, per quanto quei motivi decorativi potessero essere ispirati a tappezzerie francesi coeve?
Sono salito all’insediamento protostorico delle Sorgenti della Nova, dove gli uomini si sono succeduti per millenni, utilizzando gli spazi organizzati da coloro che erano passati prima di loro. Rimanevano visibili, ai miei occhi profani, le tracce di una vita ridotta a mera sussistenza: il nerofumo dei focolai sulle volte, i fori nelle pareti di  tufo, che servivano a incastrare i tralicci dei giacigli.
Poi sono stato in siti abbandonati e che lascerei al loro abbandono, come fossero rovine artificiali di epoca romantica (perchè occorrerebbe salvare il passato a tutti i costi? e quale sarebbe lo stato del passato che vorremmo salvare?): Santa Maria di Sala nel comune di Farnese, Castel d’Asso in quello di Viterbo, Castro in quello di Ischia.

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On Dissipation, 2011

Al ritorno da una peregrinazione infruttuosa alla ricerca di rovine “romantiche” m’imbattei in questa edicola, nelle vicinanze dell’abitato di Ischia di Castro. Un affresco secentesco, una vergine da un lato, un dannato fra le fiamme infernali dall’altro, entrambi sfregiati senza pietà, a più riprese, da adolescenti o invasati dei secoli successivi, e ancora rimane la traccia, il monogramma della pittura, che dice tutto cio’ che voleva dire all’origine.

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Romitorio (Hermitage), 2011

Se si percorre la valle del Fiora, nell’alto Lazio, appena a Sud della frontiera con la Toscana, e si sale e scende per ripe franate dopo alluvioni recenti, e ci si inoltra in macchie boscose aggrovigliate come giungle, si possono raggiungere un paio di romitori, o luoghi per eremiti, che sono sopravvissuti ai secoli, grazie al loro isolamento e al poco interesse che hanno suscitato presso le generazioni successive.
Quello di Poggio Conte è particolarmente interessante. Oltrepassata una cascatella che forniva l’acqua potabile ai monaci, si possono vedere i resti di due minuscole celle, cui conducono scalette ardue scavate nel tufo, e una chiesetta rupestre di ispirazione cistercense. L’interno di questa – malgardo l’oculo scavato nella facciata – è completamente buio: se si fanno fotografie, sarà a caso, e solo lo sviluppo svelerà i frammenti superstiti delle pitture che decoravano le vele della volta.
Cio’ che è conservato lo è grazie all’umidità costante di questa grotta scavata, e forse grazie al fatto che non si tratta di affreschi, più facilmente asportabili. Le dodici immagini degli Apostoli, difatti (e quella, acefala, del Cristo), che sono forse precedenti e che coprivano tutte le pareti della cappella, vennero asportate – insieme con i lastroni di tufo che le sopportavano – negli anni Sessanta. Sei vennero recuperati dai Carabinieri alla frontiera con la Svizzera; le rimanenti sette si trovano ancora presso “un noto collezionista elvetico”.
Ma questo eremita del XIII o XIV secolo, forse un monaco di origine francese, forse un cavaliere errante disceso da cavallo (chissà?) ha dipinto la volta con motivi decorativi decisamente prosaici, certo ispirati a tappezzerie o a pavimenti, che fanno pensare più a un design d’interni che a un esercizio di venerazione e di contemplazione.
La natura sta pian piano riprendendo i suoi diritti, le muffe coprono fiori di giglio e grifoni rossi. Scompare pian piano il lavoro dell’uomo solitario che passo’ mesi – o anni – a coprire di colori questa grotta oscura, nella consapevolezza che a pochi sarebbe stato dato di ammirarli mai.
Alle mie intrusive foto al flash ho sovrapposto un testo che potrebbe essere coevo,  scritto da un letterato italiano che viveva in Provenza: il sonetto XXXVIII del Canzoniere di Francesco Petrarca. Vi si parla, in belle metafore, di impagabili sofferenze d’amore. L’ho trascritto come un telex.

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Ex voto Remix, 2009-2010

Immagini di Ex voto etruschi, prese da cartoline e illustrazioni di libri. Questi reperti (ormai: reliquie), testimoni di guai di salute e di pene di cuore, estratti dal loro contesto tombale, presentati nei musei, posati su moquette colorate, repertoriati per categorie, sono qui ripresi e riprodotti su vetro, sovrapposti a vecchie pitture “alla cinese” dell’autore (S. P.), senza alcuna intenzione di analogia. “Ritorneremo giocattoli?”

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A fresco Remix, 2010-2011

Fotografie di canopi, contenitori a testa umana di ceneri, sovrapposti a dettagli di affreschi trecenteschi, i cui frammenti sono ancora visibili sulle mura della distrutta città di Castro. Non si puo’ vedere l’uno se non attraverso l’altro, eppure non li lega un rapporto analogico ma solo uno “sfasamento” dello sguardo.

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Phantombilder, 2010

Dopo aver concluso un lavoro sulle immagini di identificazioni del secolo scorso (Carnets anthropométriques) ho cercato nuovi soggetti legati alla questione della posa e del ritratto. Le identificazioni poliziesche che avevo ri-lavorato erano ritratti fotografici di persone che avrebbero preferito non essere prese in foto. Ma, nolenti o volenti, erano soggetti in carne e ossa, che esprimevano qualcosa in più di quello per cui erano fotografati, e che ho cercato di ritrovare.
Gli identikit attuali della polizia tedesca, facilmenente reperibili su Internet, sono montaggi fotografici molto sofiscati ma, allo stesso tempo, non sono fotografie. Non riproducono alcun soggetto reale e la loro natura è virtuale. Si direbbe che la Unheimlichkeit dell’immagine fotografica è qui raddoppiata. Malgrado la verosimiglianza tecnica, manca la scintilla di vita a questi ritratti. Manca l’imperfezione, l’asimmetria propria a ogni viso umano. Questi personaggi paiono cadaveri cogli occhi aperti. Cosa potro’ riuscire a far dir loro?

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Zoo, 1997-2011

Il giardino zoologico di Roma, prima della trasformazione in “Bioparco” e in un giorno di scarso pubblico. Le gabbie fotografate durante l’assenza del loro inquilino, fermate nello stato d’attesa. Una velatura di colore, un rosa “antico” ad accentuare un effetto di straniamento. Molti anni dopo, un passaggio successivo: tornano gli animali che avrebbero potuto occupare quei luoghi, ma tornano come effigi cucite, col filo rosso o con quello nero, da un artigiano maldestro.

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