La filosofia nel boudoir (2003)

Vietri sul Mare è una cittadina di quattro o cinquemila abitanti, incastonata su un promontorio erto, all’imbocco della costiera amalfitana.
Fin dai tempi preistorici, grazie a una corrente che scende lungo la costa tirrenica, da nord a sud, e che porta le imbarcazioni verso la Sicilia, i commercianti vietresi potevano esportare il vasellame prodotto con l’argilla scavata a Ogliara, una frazione di Salerno.
Ancora oggi la fabbricazione artigianale e semi-industriale di terraglie e di maioliche è l’attività principale di questa amena località campana. E Vietri ha sempre attirato artisti vagabondi, cui ha offerto possibilità di lavoro e ospitalità. Lo stile stesso della ceramica vietrese, il segno un po’ naif un po’ sincretico che la fa riconoscere immediatamente, è il risultato dell’incontro, negli anni ’20, fra pittori tedeschi di ispirazione modernista e artigiani locali dalle provate capacità.
Tutto ciò che è segno, nelle strade e nelle piazze di Vietri, è in ceramica dipinta: i rivestimenti delle facciate, le insegne dei negozi, i cartelli stradali. I balconi riempiti di vasi, di statuette e di varia animalia, così come le cupole delle chiese coperte di piastrelle verdi e gialle, contribuiscono a fare di questa località un gaio trionfo dell’horror vacui fittile.
Se si ha la fortuna di avere amici che vivono nella cittadina, si può essere accompagnati in un laboratorio ed essere presentati al mastro. Si cerca di spiegare cosa si intende fare. Ma è un amico che vi ha portato, non c’è bisogno di grandi discorsi: vi si prepara il vostro posto, vi si sistema uno sgabello davanti a un tornio, vi si procura una ciotola del colore che avrete scelto, un blu di Delft, per esempio, a imitazione degli azulejos, che a loro volta imitavano la porcellana importata dalla Cina. A lato del vostro sgabello viene sistemato un carrello di piastrelle smaltate, pronte per essere dipinte.
Sotto lo sguardo curioso degli operai, che si chiedono di quali abilità darete prova, vi troverete nella situazione di decidere rapidamente in che maniera coprire di segni queste mattonelle. Avrete deciso di eseguire una parodia di arte popolare, con le sue figurazioni precise e ripetitive, con i suoi proverbi scritti in bella calligrafia. Avrete deciso di apporre a queste superfici un testo filosofico, pur sapendo che quella non è la superficie destinata a ricevere una tale fatica di amanuense. Tirate un libro fuori della tasca, un testo misto di metafisica e di oscenità, un libro scritto in una lingua straniera: non avete voglia che ciò che trascrivete sia leggibile.
Vi mettete all’opra, con una mano malabile che non vi obbedisce. Il pennello va lì dove vuole; lo lasciate fare; in fondo vi conviene, questa redazione in brutta copia di un bel testo. Infine i vostri vicini non ne possono più di vedervi soffrire; ce n’è uno che si alza dal suo posto e viene a dirvi – gentilmente – che non state usando il buon pennello, che quello lì è il pennello sbagliato. Cambiate strumento, ma anche quello buono va lì dove vuole lui. Dopo qualche ora si sono finalmente stancati di divertirsi alle vostre spalle e capiscono che non c’è niente da fare; vi lasciano tranquillo. Siete arrivati alla terza pagina della filosofia nel boudoir, avete calligrafato cinquanta mattonelle e non ne potete più, è adesso che la vostra mano è libera davvero e scrive ciò che vuole, è presto finita la giornata lavorativa, e il bello è là da venire.

2003

Per le relative immagini, andare su: La philosophie dans le boudoir (grazie)