I lavori della serie Inchiostri-Mamotii sono stati eseguiti durante e al ritorno da due viaggi, in Kenya e nelle Cina meridionale. Presentano quindi due influenze incrociate, quella dei paesaggi africani e quella della pittura cinese. Il supporto usato è invariabilmente la carta da acquarello della Cartiera Amatruda di Amalfi, mentre i colori sono di ogni tipo: inchiostro da penna stilografica per la sua tendenza a diluirsi nell’acqua, caffè, laterite sciolta nella colla vinilica.
I Mamotii* sono figure indistinte, che rimangono larvali e non hanno ancora raggiunto una forma articolata. Potrebbe trattarsi degli alti termitai visibili lungo la strada del lago Turkana, oppure delle sagome dei nomadi che percorrono quella savana, oppure di personaggi mitologici. Per lo più, a suggerire un possibile dialogo fra questi personaggi di natura diversa, in ogni inchiostro figurano almeno due forme.
Negli anni ’90 ho declinato questi disegni in forme sculturali, con il piombo fuso nel tegamino in cucina e colato nelle forme scavate nel mastice da vetraio, oppure con il silicone trasparente da idraulico. Ho anche usato giri di stoppini incerati (Kerzendocht) comprati nei negozi di articoli religiosi in Baviera.
*Il termine mamozio (à la napolitaine) mi viene da un uso fra amici, quando di qualcuno si voleva dire che era un “diverso”, un qualcosa di informe e indistinto ma pure presente, un pò come i monacielli che abitano le vecchie grandi case e gli hunchback inglesi e i gobbetti tedeschi (di cui parla Hannah Arendt nel suo saggio su Walter Benjamin), e quelli che mi sono permesso di ribattezzare Odradek, in un lavoro dal titolo La preoccupazione del padre di famiglia.
Pare che l’espressione venga dalla statua di un Mamotius, ritrovata a Pozzuoli su un sito soggetto al bradisismo, scultura tutta mutilata e forse corrosa dalle emanazioni sulfuree.