a. Sull’Altipiano. Qualcuno mi aveva detto che i miei lavori sul tema del rupestre richiamavano il libro di Robert Harrison Pogue sulle foreste (Stanford 1992 e Garzanti 1995). Mi sono procurato quel libro, l’ho letto e per lungo tempo non ne ho fatto niente. Il concetto che ne ho tratto è che la foresta è un’invenzione dell’uomo, è un fatto culturale. Intanto ripensavo ai miei numi tutelari adottivi, quelli della generazione ormai scomparsa che ha vissuto da giovane la seconda guerra mondiale, i Nuto Revelli, i Primo Levi. L’ultimo a sopravvivere fu Mario Rigoni Stern (1921-2008). Rigoni, nato ad Asiago, località marcata fino alla distruzione dagli avvenimenti della prima guerra mondiale, volle diventare, nel clima di retorica nazionalistica del primo dopoguerra, militare di professione; ma presto maturo’ la convinzione dell’ingiustizia della guerra, convinzione che si confermo’ nell’odissea del corpo di spedizione italiano in Russia, nella disastrosa ritirata del gennaio 1943 e, successivamente, negli anni di internamento in un campo di concentramento militare tedesco.
La tematica del bosco, quel bosco annichilito dalle bombe austriache e italiane fra il 1915 e il 1918 e successivamente ricostruito dall’uomo, esempio dell’artificiale che ritorna faticosamente naturale, è centrale nell’opera letteraria di Rigoni.
Nel vagare, da turista, per le sue terre, ho registrato qualche immagine di foreste in cui sono, a ben guardare, visibili le tracce della guerra: i camminamenti crollati, i crateri aperti dalle bombe. Ritrovo qui il soggetto del mio lavoro precedente sul rupestre: sono questi siti “rupestri”, anche se non è la creatività dell’uomo che ha lasciato le sue impronte, ma la sua ingegneria diabolica?
E cosa hanno a che fare queste fotografie con le rime in cui Dante descrive la sua entrata nel paradiso terrestre, la “selva antica”, alla sommità del monte del Purgatorio e il suo incontro con Matelda, giardiniera di quel parco privo di peccato originale?
b. Nel Lamone. Dante è stato certamente l’ultimo visitatore del giardino dell’Eden. Nessuna foresta, neanche la foresta antica sorta sulle formazioni vulcaniche della Tuscia, neanche la Selva del Lamone si puo’ dire originaria. Ovunque si troveranno le tracce della “civiltà” umana: i muri di cinta diruti, i resti di pavimentazione stradale, i solchi dei carri dei carbonai, i mucchi di pietre che furono muraglie etrusche e oggi le strisce di pittura bianca e rossa della sentieristica.
Le mie fotografie sono riprodotte su supporti trasparenti e sovrapposte alle riproduzioni di petroglifi preistorici (quelli del Nevada sono i più antichi ritrovati sul continente nordamericano): sono i segni di un’epoca in cui l’uomo iniziava appena ad appropriarsi della natura. Se sono riprodotti con l’acrilico rosso fluorescente, è perchè di segnaletica si tratta; quello che cambia rispetto a diecimila anni fa, è la tecnologia della riproduzione.