Emergenza del prosseno (2000)

1. Asylum

Il 21 aprile del 753 avanti Cristo Romolo tracciò con un aratro, tirato da due buoi, il solco che delimitava e allo stesso tempo fondava la città di Roma. Seguendo la linea del solco vennero innalzate le mura della città. Quella linea designava uno spazio inviolabile; per averla saltata in segno di sfida Remo, il fratello gemello di Romolo, fu da questi ucciso.
Lì dove, invece, Romolo aveva sollevato il vomere, interrompendo la continuità del solco, si stabilirono le porte della città; attraverso quelle aperture le cose –pure e impure- erano autorizzate a passare. Compiuto il rito, Romolo dichiarò: “Mundus patet”, il mondo è aperto.
Questo accadeva sul colle Palatino. In quella stessa circostanza Romolo ebbe cura di creare, in un bosco sacro sul Campidoglio, un asylum. Gli storici antichi dicono che lo scopo della creazione di tale area era quello di attirare tutti quegli uomini isolati e sbandati che potevano contribuire allo sviluppo demografico di Roma.
Ma la costituzione di una tale zona franca -in cui criminali inseguiti dalla legge del loro paese, schiavi fuggiti dai loro padroni e fuorilegge di tutti i tipi potevano rifugiarsi senza che venissero interrogati sulla loro origine e sul loro passato- era un fatto comune ai tempi antichi. Se ne ha testimonianza presso i greci, gli ebrei, i germani.
L’asylum (dal greco a-sylon, senza violenza, senza esproprio) era un luogo sacro, entro i cui confini i cani non inseguivano le prede e i lupi vivevano in pace e in buona armonia con i cervi. All’origine di una tale credenza era la convinzione che la santità di un luogo (o di un oggetto) si comunicasse per contatto. Chi avesse messo le mani su di un fuggitivo all’interno di quello spazio avrebbe compiuto un gesto sacrilego. Si racconta come, nell’Atene del 7  o del 6  secolo, i superstiti della congiura di Cilone si fossero rifugiati nel tempio di Minerva; e, essendosi infine decisi ad uscirne, avessero srotolato uno spago che li manteneva in contatto con la statua della dea; ma lo spago si ruppe, per accidente o per malignità, e i ciloniani vennero massacrati.
La funzione del diritto d’asilo pare fosse, innanzitutto, quella di temperare la vendetta di sangue. All’assassino che fuggiva la vendetta dei parenti dell’ucciso, o allo schiavo che fuggiva i maltrattamenti del padrone, veniva concesso grazie all’asilo una sorta di appello e comunque un temporeggiamento, una dilazione della pena.

2. Hospitium

L’hospitium (per i greci: xenia) era l’insieme di rituali che regolava i rapporti di obbligo e cortesia fra due stranieri che fra di loro stringessero un patto. Tali rapporti costituivano, prima della fondazione della polis, una diffusa rete di alleanze. Coloro che ne erano partecipi beneficiavano generalmente di un simile status sociale, certo fra i più elevati. L’Oxford Classical Dictionary ritiene che tale “amicizia ritualizzata può essere vista come uno strumento per perpetuare le distinzioni di classe”.
Fra gli obblighi degli hospites erano quelli di reciproca accoglienza e sostegno, così come quello di fare da padrini ai figli rispettivi. Il symbolon era l’oggetto che indicava il patto di amicizia; funzionava anche da identificazione perché chi lo portasse fosse protetto nei territori stranieri: Era spesso la metà combaciante di una tessera spezzata in due parti.
Un’istituzione corrispondeva sul piano pubblico, soprattutto in Grecia, al patto privato fra due stranieri: la prossenia.
Si trattava di un contratto fra uno Stato straniero e il cittadino di una polis. Costui, scelto fra le più influenti e facoltose personalità della città, aveva un ruolo di padrino di quello Stato e dei suoi cittadini. Accoglieva a proprie spese i viaggiatori e a volte gli ambasciatori che da quel paese venivano; ne tutelava gli interessi, li rappresentava nelle cerimonie religiose e nelle relazioni commerciali. In cambio aveva onori e privilegi, più che altro simbolici, presso quello Stato con cui aveva firmato un patto. Non dipendendo dalle autorità cittadine, più che un funzionario era considerato un benefattore.
Il titolo di prosseno (pro-xenos: colui che ospita lo straniero) era conferito a vita ed era ereditario, così come a vita ed ereditaria era la relazione privata fra uno xenos (hospes) e l’altro.
In quanto “ospite pubblico” e a causa certo della sua provata capacità di mediazione il prosseno era spesso chiamato ad arbitrare conflitti fra città o partiti in lotta.

3. Proxenia

Da queste brevi note si vede come la differenza fra asylum e hospitium sia grande. Se intendiamo, quindi, rispettare il significato di questi termini nelle loro accezioni moderne, non possiamo parlare indifferentemente di ospitalità e di accoglienza. Perché tanto la prima dipende da alleanze ed esprime rapporti di potere, quanto la seconda è disegnata da forme di sovranità e implica decisioni di vita o di morte.
Esiste, tuttavia, una forma dell’asylia i cui bordi sconfinano nella pratica dell’ospitalità: si tratta dell privilegio accordato, più che ai luoghi sacri, alle persone. Lo straniero che veniva dichiarato asylos poteva considerarsi al riparo dalla ostilità e dalle vessazioni da parte degli abitanti, anche in caso di guerra con il paese da cui egli proveniva. Gli ambasciatori, per esempio, erano protetti dall’asylia e –molto frequentemente- i prosseni. Ci piacerebbe che i rifugiati di oggi venissero considerati, quali sono, messaggeri, e per questo protetti.
Ci piacerebbe anche prendere una figura dell’hospitium, quella del prosseno, e portarla nel campo dell’asylum. Perché non potrebbe esserci un garante e un rappresentante dello Stato dei fuggitivi e dei supplici? Perché non potrebbe esserci qualcuno che, pur non essendo un funzionario e non rappresentando quindi lo Stato di accoglienza, di quello sarebbe cittadino e avrebbe il riconoscimento implicito di entrambe le parti?
Nel caso del diritto d’asilo lo Stato è una parte e non un arbitro, proprio perché i rifugiati sono dei forestieri. In certo senso, non sta a lui accogliere lo straniero ma a privati cittadini, che siano associati o che agiscano come individui. Penso che non nuocerebbe un riconoscimento formale di tali figure di mediazione e di tutela.
Del resto anche il meteco abbisognava, per essere ammesso nella città, di un prostatès, un padrino, che di lui garantisse. Ma, una volta accettato, era –come diceva Aristofane- tanto inseparabile dagli altri cittadini quanto la crusca dalla farina. Per separarle occorre una tecnologia che gli antichi greci ancora non possedevano.

Appendice: una breve lista di testi recenti sull’ospitalità e l‘asilo

J. Derrida, „Le mot d’accueil“, in Adieu à Emmanuel Lévinas, Paris 1997.

J. Derrida, De l’hospitalité, Paris 1997.

J. Derrida, Cosmopolites de tous les pays, encore un effort!, Paris 1997.

K. Heilbronner, Immigration and asylum law and policy of the European Union, The Hague London Boston 2000

E. Jabès, Le livre de l’hospitalité, Paris 1991

D. Joly, Haven or hell? Asylum policies and refugees in Europe, Warwick 1996

E. Lévinas, „Les villes-refuges“, in L’Au-delà du verset, Paris 1982.

F. Nicholson, Refugee rights and realities: evolving international concepts and regimes, Cambridge UK 1999

C. Pohl, Making room: recovering hospitality as a Christian tradition, Grand Rapids-Cambridge 1999.

S. Ravanel-Aboudrar, Responsabilité et aléa dans les villes de refuge bibliques, Paris 1996

S. Reece, The stranger’s welcome: oral theory and the aesthetics of the Homeric hospitality scene, Ann Arbor 1993.

K.J. Rigsby, Asylia: territorial inviolability in the Hellenistic world, Berkeley 1996

R. Scherer, Zeus hospitalier: éloge de l’hospitalité. Essai philosophique, Paris 1993.

P. Ségur, J.L. Gazzaniga, La crise du droit d’asile, Paris 1998

Altri studi storici e filolologici

A. Ducloux, Ad ecclesiam confugere: naissance du droit d’asile dans les églises, Paris 1994

P. Gauthier, Symbola. Les étrangers et la justice dans les cités greques, Nancy 1972

O. Henssler, Formen des Asylrechts, Frankfurt 1954 (presso i Germani)

G. Herman, Ritualised Friendship and the Greek city, Cambridge-New York 1987

C. Marek, Die Proxenie, Frankfurt a M.-New York 1984

W. Ziegler, Symbolai und Asylia, Bonn 1975