Nîmes June 2014

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Giovannetti fluo
2013
En premier plan, des textes imprimés sur le verre. Il s’agit de sonnets de Pétrarque. Il sont imprimés en police Courrier, en continu, comme un télex.
Ces verres imprimés sont superposés à des photographies, prises par moi-même, de détails des fresques de Matteo Giovannetti da Viterbo (début XIVe-1369?) à Avignon et Villeneuve les Avignon. Il s’agit de détails, devenus presque abstraits, de peintures délavées ou endommagées au cours des siècles. Le choix de ces arrière-plans se fait dans l’intention de montrer des traces, des survivances, de celle qui était l’époque de Pétrarque (Giovannetti en étant le contemporain et surement un interlocuteur, les deux ayant eu maintes opportunités de se rencontrer entre 1343 et 1353). En même temps, le fond peint et le texte se brouillent réciproquement, en créant, je crois, un effet de distanciation du sujet par rapport à lui-meme et, j’espère, un mouvement de décalage et de surprise dans le regard du spectateur.

Sur une traduction de Pétrarque
une séquence, 2011-2013
Le point de départ de cette série est un seul poème de Pétrarque, le sonnet XIX du Canzoniere (“Benedetto sia il giorno…”), dont je reproduis l’original italien et plusieurs traductions successives, en français et en allemand, employant notamment la version d’Oskar Pastior et la traduction collective qu’on en fit à Royaumont il y a vingt ans (voir la revue Détail, n. 3/4, hiver 1991). Ces différents textes, six en tout, y compris ma propre traduction de la traduction de Pastior, sont reproduits sur des verres au format carré (32×32). Il sont imprimés en police Courrier, en continu, comme un télex. Il est peut-être intéressant de voir comment, avec la dernière traduction, le texte initial est tout à fait méconnaissable, tout en gardant, me paraît-il, la trace incontournable de la poétique de Pétrarque.

Rupestres
2012-2013
Depuis un certain temps je m’intéresse à la question rupestre. Je tente d’en définir le concept. Si “rupestre” est l’intervention de l’homme sur la nature, qui devient ainsi “oeuvre” (les peintures, les sanctuaires, les rochers sculptés, les pierres gravées), aussi un artefact humain peut devenir rupestre, une fois qu’il est abandonné et que la nature reprend ses droits.
Certainement, là ou nature est histoire se rencontrent, on est dans le rupestre. Que ça soit l’évanescence de l’histoire face au retour de la nature, ou la défaite de la nature face à l’avancée de l’histoire.

Rome June 2014

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Piccola visita guidata alla mostra Robinson a Rosignano,
atelier Morbiducci, Roma, giugno 2014

In Tuscia (piombi), 2012-2014
Fra il lago di Bolsena e il Tirreno, fra la Maremma toscana e la laziale, lungo la via Clodia, a ogni chilometro si incontrano, perlopiù nascosti fra rovi e dirupi, siti etruschi, grotte eneolitiche, tombe diventate ovili, abbazie campestri e finanche parchi dei mostri. E’ il luogo del rupestre, cio’ che si situa al crocevia fra natura e storia. Per me, Si tratta di re-intervenire sulla natura che è stata fatta forma dall’intervento umano e che riprende i suoi diritti, riscrivendo la sua propria storia, mentre il segno dell’uomo è ormai mera traccia.

Romitorio, 2011-2012
Se si percorre la valle del Fiora e si sale e scende per ripe franate dopo alluvioni recenti, e ci si inoltra in macchie boscose aggrovigliate come giungle, si possono raggiungere un paio di romitori, o luoghi per eremiti.
Poggio Conte: oltrepassata una cascatella che forniva l’acqua potabile ai monaci, si possono vedere i resti di due minuscole celle, cui conducono scalette ardue scavate nel tufo, e una chiesetta rupestre di ispirazione cistercense. L’interno di questa – malgrado l’oculo scavato nella facciata – è completamente buio: se si fanno fotografie, sarà a caso, e solo lo sviluppo svelerà i frammenti superstiti delle pitture che ne decoravano la volta.
Si scoprirà che questo eremita del XIII o XIV secolo (forse un monaco di origine francese?) ha dipinto le vele con motivi decorativi decisamente prosaici, certo ispirati a tappezzerie o a pavimenti, che fanno pensare più a un design d’interni che a un esercizio di venerazione e di contemplazione.
La natura sta pian piano riprendendo i suoi diritti, le muffe coprono fiori di giglio, grifoni rossi e certe forme falliche. Scompare pian piano il lavoro dell’uomo solitario che passo’ mesi – o anni – a coprire di colori questo antro oscuro, nella consapevolezza che a pochi sarebbe stato dato di ammirarli mai.
Alle mie intrusive foto al flash ho sovrapposto, come una trama leggibile in controluce, la trascrizione inglese di un drum contest Inuit, la disputa poetica ritmata dal tamburo. Vi si parla, in belle metafore, di eterni conflitti amorosi. L’ho trascritta come un telex.

Topographie, 1995-2010
Le 7 giugno 1802 Friedrich Hölderlin usci’ da Strasburgo ed entro’ in Germania attraverso il ponte di Kehl. Era partito circa un mese prima da Bordeaux. Quattro giorni dopo, secondo Pierre Bertaux (Hölderlin ou le temps d’un poète, Paris 1983, pp. 244-255), è a Francoforte e ha la possibilità di vedere per l’ultima volta la sua amante ammalata, Suzette Gontard, prima che muoia di vaiolo. In quel momento è già completamente impazzito, mezzo impazzito, o finto pazzo. Su questo punto le convinzioni dei suoi esegeti divergono. Quello che è certo è che quel viaggio di ritorno attraverso la Francia segna una svolta nello stato mentale del poeta tedesco. Ne testimonia la celebre lettera all’amico Böhlendorf, scritta il 2 dicembre 1802 e da molti considerata come la prova della sua caduta nella demenza. E’ qui che Hölderlin prende i contadini della Vandea per antichi ateniesi: «La vista degli Antichi mi ha fatto meglio comprendere non solamente i Greci ma, più in generale, le sommità dell’arte…».
E’ a questa sovrapposizione di una visione e di una realtà che allude il mio lavoro. Topographie ne è il titolo, che si scrive allo stesso modo in francese e in tedesco. Vi si tratta di paesaggi percorsi, di luoghi anonimi, di memoria personale e di storie immaginate, di tracce che si vanno cancellando, di velature del tempo che passa. La spiaggia d’inverno è quella di Fregene, li’ solevo portare a spasso cupi pensieri e vaghe speranze, anni fa, prima di partire a mia volta.
Gulliver a Lavera, 2010-2011
Se la tematica del paesaggio può interessarmi, così, come mi ha interessato quella dei volti in posa, è secondo uno stesso tipo di approccio. Ed è anche per interesse per quegli spazi intermedi, che non sono più del tutto naturali, senza essere ancora completamente “umanizzati”. A questo proposito, la scelta del formato panoramico, un pò ‘”fin de siècle”,  mi è stata spontanea. Le immagini di questa serie sono state scattate all’alba di una domenica d’inverno nel sito industriale di Lavera, uno dei più grandi complessi petrolchimici d’Europa, edificato in un luogo un tempo paradisiaco, sulla costa della Provenza.
Riporto qui un passo di un articolo di Daniela Goeller, che parla di questo lavoro meglio di quanto io non possa fare.
Il paesaggio è una struttura complessa, corrisponde a una visione che si porta su un ambiente ed esiste soltanto attraverso gli occhi dello spettatore. Più che un riflesso del mondo esterno e della natura circostante il paesaggio forma uno spazio di proiezione per eccellenza e riflette le diverse visioni e concezioni, artistiche e politiche, che la nostra civiltà ha imposto alla natura attraverso i secoli. (…)
Le immagini di Salvatore Puglia si compongono di diversi strati. Egli integra le stampe fotografiche in altri sistemi pittorici e inventa loro nuovi contesti, per meglio svelare le loro intenzioni e il rapporto tra la produzione di immagini e la dimensione storica. “In primo piano, una vista di spiaggia. Sul fondo, edifici industriali. ” – scrive a proposito delle sue immagini. – “Poi altri due strati: uno strato intermedio (una colata di vernice molto diluita che essiccandosi coagula creando una sorta di nuvola, o di sole malsano); e, stampate sul vetro in primo piano, quasi cancellate dal rudimentale metodo di trasferimento al tricloretilene, alcune illustrazioni tratte da I Viaggi di Gulliver.
(http://www.tk-21.com/Gulliver-a-Lavera)
La scelta di riprendere e di “ri-stampare”, insieme con altre immagini storiche, le illustrazioni dei Viaggi di Gulliver, l’opera satirica e allegorica di Jonathan Swift, non è casuale: ci troviamo nel Settecento, il secolo dell’Illuminismo e della fiducia nella giustizia e nel progresso, tutto ciò che fa l’oggetto dello scherno di Swfit. È anche il secolo di Piranesi e del gusto romantico per le rovine, gusto che è possibile fino a quando possiamo credere nella rovina come un elemento che appartiene solo al passato e può quindi essere utilizzato per scopi decorativi .

Robinson a Rosignano, 2011
In questa serie siamo nello stesso spirito di quella che precede, ma è presente qui un riferimento più esplicito alle cartoline di vacanza. Si tratta anche qui di siti industriali edificati in prossimità di spiagge. Il primo, Rosignano Solvay, ha creato con le sue discariche una spiaggia di sabbia bianca (la fabbrica produce soda) e un mare dall’acqua turchese molto frequentato dagli estivanti.
I quattro lavori di questa serie portano sovrapposte, come tatuaggi, le riproduzioni alla vernice rossa traslucida di tavole antropologiche: frammenti di attrezzi medievali rinvenuti in Groenlandia, graffiti rupestri del Nevada.
Infine, le stampe: vengono da varie illustrazioni alle Avventure di Robinson Crusoe, il libro – questo sì, tutto nello spirito dell’Illuminismo – di Daniel Defoe (in particolare la scena in cui Robinson trova un’impronta umana sulla sabbia incontaminata della sua isola).

 

Paris May 2014

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please find below Laura Serani’s text, with better images:

Article TK-21

and a short movie by Gilbert Carsoux, for Arte TV:

Le jardin des monstres

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