Un’anima del Purgatorio (1988)

Questo testo è stato pubblicato in Linea d’ombra, numero 33, Milano 1988.

 

L’Anima se ne stava nel purgatorio.

Cosa trovò il suo amico, uno che prima era suo amico, che di cognome faceva Vitelli? Di andare lì dove preparano le figurine delle anime, ci lavorava uno che conosceva, andò lì e chiese di quello, stava nell’ufficio e venne subito, Vitelli gli disse così e così e quello: nessun problema, ti accompagno didietro, ti porto dall’operaio anziano, sta nel laboratorio dietro alla bottega.

L’operaio anziano faceva i pezzi difficili, quelli coi capelli ricci o i preti colla berretta e anche i tipi singolari; gli stava vicino uno che gli passava i blocchi d’argilla preparati, che già aveva sagomato la base e le fiamme; il torso le braccia e la testa, quelli li rifiniva l’operaio anziano. Un altro passava, raccoglieva le statuine, le metteva nel forno, un altro le ritirava, le allineava su una tavola di legno, una donna pitturava le fiamme, una più giovane il rosa dei corpi, una più giovane ancora gli occhi e i capelli.

Vitelli tirò fuori le fotografie, due ne aveva portate, nella prima si vedeva l’Anima insieme con altre persone, con la penna biro gli aveva fatto una freccetta sulla testa, era una foto di gruppo, stavano sullo sfondo di una marina, il sole tramontava dietro le teste e poco si distingueva, quello oltretutto era mezzo nascosto da uno vicino. La seconda era una fototessera, fotomat, cabina di stazione centrale, quello teneva il mento sollevato e strizzava gli occhi ma già si capiva di più; farò quel che posso disse l’operaio: che vede, in ogni modo su queste statuine arriviamo appena a notare i segni particolari, se ci sono; riportiamo giusto il colore degli occhi e dei capelli, più o meno la forma del naso, il contorno della faccia, se è grassa o magra, la lunghezza dei capelli, tutto qui; l’importante è il nome scritto davanti, disse, me lo deve lasciare, disse, che devo inciderlo sull’argilla fresca, me lo scriva per favore dietro alla fotografia più grande.

Il conoscente riaccompagnò Vitelli alla porta, quando sarà fatto chiese Vitelli, torna fra tre giorni e sarà pronto disse quello, lo devono mettere nel forno e dopo pitturare, la pittura si deve asciugare, poi te lo possiamo consegnare.

L’Anima se ne stava nel purgatorio. Sente che lo chiamano, chi sarà mai, si dice. Per un pò non risponde ma la voce insiste, la chiama per nome, deve per forza corrispondere. Chi mi vuole dice l’Anima, sono Vitelli risponde la voce. Cosa mi vuoi dice l’Anima, ti devo parlare Vitelli risponde. Parlami dunque l’Anima dice.

Gli è che potresti tornare, fa Vitelli.

Tornare? Fa l’Anima. Per fare? Che di nuovo?

Che è cambiata la sentenza, c’è stata l’indulgenza.

Ah no, fa l’anima del purgatorio, quale indulgenza che non ne voglio.

L’indulgenza, spiega Vitelli, quella nuova, che danno a chi ha scontato a sufficienza. L’ho chiesta io per te.

La sentenza in curva discendente, allora, l’interrompe l’Anima, ma niente io ho a che fare. Niente io ho a che vedere con quelli della sentenza. Non c’ho complicità.

Non essere sdegnoso, non essere pertinace, trattasi giusto d’una formalità, un passaggio procedurale; cosa di poco conto, la sbrighi e stai di nuovo qui fra noi.

Niente da fare dice l’Anima, se non sarà l’equidistanza non sarà niente.

Questa è dunque la tua ultima parola, questo dunque avrò da riferire, vuoi che la riporti dunque l’immaginetta, non altro c’è da dirsi, non più potrò chiamarti, debbo dunque lasciarti lì? Dice Vitelli, dice con voce dispiaciuta.

Se non sarà l’equidistanza no, niente se ne farà, l’Anima ribatte.

Eppur ti son venuti incontro.

Ma non io incontro a loro.

Eppure tuo fu il torto.

E me lo tengo tutto. Quello almeno mi dà un posto.

Ah, bel posto quello.

Cosa ne sai tu.

Lo so, ci sono stato. Anche a me m’hanno richiamato.

Non me l’avevi detto.

Non sono cose che si dicono.

Lo sai allora che non si sta poi tanto male, dice l’Anima.

L’uomo s’abitua a tutto; se ha qualcosa a cui abituarsi, dice Vitelli.

Come sei sapiente.

Certo. Certo non superficiale come te. Potevi stare più attento, potevi. Non te ne finivi lì.

Anche questo è vero. E` stato che mi sono distratto sul più bello.

Ah cane, ah maledetto, ceffo di basilisco, lacerta vermenara, semente di gramigna, si altera Vitelli; pur te lo dissi che ogni distrazione prepara l’accidente, pur te lo dissi.

E sia. Ma anche l’attenzione, che all’accadente attende, attende l’incidente, si difende l’Anima. Ben lo sapevo che per colui restar campione era cosa d’importanza, davvero non ci tenevo a rubargli il titolo, parlo con lingua diritta. Cosa potevo farci, dovevo pur mostrare i segni, cosa potevo farci se la forbice è spezzata dalla pietra ma taglia la carta che incarta la pietra. Fosse stato per me avrei sempre tirato, non so, orsacchiotto, sarebbe stato trapassato dalla forbice avviluppato dalla carta e tramortito dalla pietra. Ciò nonostante stavo attento e tiravo con ritardo, proprio agli ultimi colpi mi sono distratto.

Non è quello, non è quello, dice Vitelli.

E cosa allora.

E` il fatto l’altro, quello, l’altro.

Quello dell’orecchio? Ai fatti qui mi chiami, che sono accaduti. Un demonio certo comandava dentro me, nondimeno va detto che grande era la tentazione, la folla nel vagone mi ci spingeva addosso, ed era un orecchio talmente sodo e traslucido, arrossato per la ressa al punto giusto, mi stava giusto all’altezza dei denti… come non addentarlo, cerca di capirmi.

Non è quello, non è quello. Quello ti venne condonato in prima istanza, dice Vitelli. Mi fa specie di te, che non intendi.

Ora mi metti con le spalle al muro, dice l’Anima, si sa dunque di quei due? Quelli entrarono e si misero a sedere proprio di fronte a me, già lui col braccio le allacciava il collo e già lui le parlava nel collo e lei rideva, ridevano fin dall’ingresso, veramente, dovevano stare attenti, non lo vedevano che tenevo il carné e la penna in mano, e allora.

Ecco. Ora l’hai detto.

E` questo certo, lo sapevo. Perciò l’ammenda dunque, vedi, lo sapevo che era per questo l’indulgenza.

Ebbene?

E sia.

Così, così ti voglio, esclamò Vitelli.

Vitelli incontrò per strada il suo conoscente, quello delle anime.

Come è andata allora, sei rimasto soddisfatto, quello gli si rivolse.

Come no, fece Vitelli, di nuovo egli è fra noi, dopo breve reticenza ha deciso per il meglio. Piacere mi fa a sentirlo, oggi come oggi s’è fatto quasi raro, sempre meno ci richiedono le anime e capita spesso che di tornare non vogliono sapere, sei stato fortunato; e dove l’hai impiegato, sul posto di lavoro?

No, no, s’accomiatò Vitelli, lo tengo in casa, dà una mano a sbrigare le faccende e già i bambini lo chiamano zio, li porta a scuola e li riprende, davvero bene ci troviamo e la statuina sta in fondo a un cassetto che neanche so più quale, bene ci siamo trovati e ti manderò qualcuno che già so, e così dicendo mi accomiato; e detto fatto s’accomiatò.